#348 – Due IP su una scheda di rete

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#348 - Due IP su una scheda di rete
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È una configurazione che si può fare senza problemi, anche a mano, basta avere alcune accortezze e sapere cosa si sta facendo

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Per tornare a parlare di reti, mi viene chiesto spesso se a una scheda di rete è possibile assegnare più di un indirizzo IP, visto che di solito se ne vede soltanto uno e assegnarne di più pare una cosa complessa e senza uno scopo utile.
Ebbene si può e serve, a volte lo facciamo senza neanche rendercene conto.

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Ci togliamo subito un impiccio: mettere a mano un IPv6 è davvero problematico, non si fa quasi mai, come detto nella puntata 304, gli IPv6 vengono assegnati automaticamente e molto spesso, anzi, è quasi sistematico, ogni scheda ne ha più di uno. Un problema di meno.
Oggi parliamo di IPv4.
Se avete bisogno di un ripasso su come funziona, potete andare a riascoltare la puntata 36, non è ancora cambiato.
La funzionalità standard di un computer in rete è trasparente per l’utente, si collega il cavo di rete, si accende, avviene la magia del DHCP server e la scheda di rete ottiene il suo indirizzo IP per poter accedere alla rete.
Se si parla di reti WiFi, dopo essersi connesso alla rete Wireless con la password o il certificato corretto, il DHCP server funziona nello stesso modo e assegna un indirizzo IP.
Se non vi ricordate come funziona il DHCP, non c’è problema, c’è una puntata anche per lui, la 225.
L’IP ottenuto permette al computer di raggiungere tutti i dispositivi sulla rete e il gateway, necessario per raggiungere tutti i dispositivi che non sono sulla rete locale.
Questo vale qualunque sia la classe dell’IP assegnata e qualunque sia la dimensione della sottorete.
Sugli stessi cavi di rete è possibile, senza problemi, far circolare pacchetti di reti diverse, senza che questi si diano fastidio.
Ci sono due modi.
Facciamo un esempio con le strade.
Su una qualunque strada possono passare auto con la targa italiana, che possiamo far finta essere i pacchetti con gli indirizzi IP della nostra rete che assegna il DHCP server del router.
Ma possono passare senza alcun problema anche le auto con targa tedesca, la strada non le blocca in alcun modo, l’importante è che sappiano dove devono andare.
Questi sono pacchetti con IP diversi da quelli che vengono distribuiti dal DHCP server della nostra rete.
Importante, non ci devono MAI essere due DHCP server nella stessa rete.
Si potrebbe obiettare che se l’ho sezionata per bene posso, ma non è cosa che succede a casa, di solito.
Nella configurazione della nostra scheda di rete, su ogni sistema operativo, possiamo andare a impostare manualmente uno o più indirizzi aggiuntivi, senza che il computer abbia problemi e senza creare problemi alla rete dove sono collegati tutti gli altri dispositivi.
Fatelo a casa, non sul vostro PC in azienda, ovviamente.
Un doppio IP si imposterà anche in modo automatico, lo vediamo tra un attimo.
Se lo impostiamo a mano, meglio non mettere un secondo gateway, se no poi il computer non sa dove mandare i pacchetti che devono uscire dalla rete locale.
Il discorso si fa complesso, ma fidatevi.
A cosa potrebbe servire?
Un esempio potrebbe essere che comprate un NAS, non lo volete mettere a disposizione della rete, ma volete accedere solo voi, in modo esclusivo e volete che sia isolato completamente dalla rete.
Gli date un IP diverso dal classico 192.168.1.X che avete sulla vostra rete.
Al vostro computer date un secondo IP della stessa rete data al NAS ed ecco che nessuno in rete lo vedrà, a meno che non vada a fare analisi dei pacchetti e scoprirà pacchetti di quella rete.
Ovviamente il NAS non potrà accedere ad Internet.
La cosa migliore sarebbe dedicare una scheda di rete solo per lui, ma un PC con due schede di rete non è una cosa così facile da trovare.
Se volete fare gli splendidi, esistono adattatori da usb/thunderbolt a ethernet molto veloci, ed ecco la seconda scheda di rete, ma siamo off topic in questa puntata.
Oppure, un altro esempio, più raro da trovare in casa.
Avete un dispositivo nuovo che sapete che ha un certo indirizzo di rete che è diverso dall’indirizzamento di casa vostra, mettete un secondo indirizzo compatibile con quel dispositivo ed ecco che lo potete raggiungere senza perdere accesso ad Internet, magari con il quale qualcuno vi sta facendo assistenza remota.
Come fa il computer a sapere che i pacchetti vanno alla rete di casa, alla seconda rete o va chiesto al gateway di uscire?
Una delle regole base del networking è che prima di chiedere al gateway di uscire si cerca il destinatario sulla rete locale o sulle reti locali se ce n’è più di una.
Se sul computer avete la rete R1 e la rete R2, la vostra scheda di rete, se vede che un pacchetto è della sottorete di R1, cercherà la destinazione in locale uscendo con il primo indirizzo, se vede che il pacchetto è della sottorete di R2, uscirà in locale usando il secondo indirizzo, se invece la destinazione è per una rete diversa, andrà dritto al gateway che gestirà poi lui dove mandarlo.
Un altro caso in cui troverete più di un IP sulla stessa scheda di rete, ma in modo automatico, è quando accendete una VPN, avrete l’IP della vostra rete locale e l’IP della VPN, che dovranno essere diversi.
In questo caso verranno anche scritte delle rotte per dire ai pacchetti se devono andare sulla vostra rete locale o all’interno della VPN, perché in questo caso avrete due gateway diversi, ma come vi dicevo prima, la gestione del traffico dei pacchetti, delle rotte e delle varie sottoreti si fa più complessa e, senza una tabellina da far vedere e tutti i numeri, in podcast è impossibile da spiegare, provo a semplificare.
Se un pacchetto ha destinazione R1, che è la rete locale, verrà mandato usando l’indirizzo principale del computer, sulla rete di casa vostra.
Se invece il pacchetto ha destinazione diversa da R1, le possibilità sono due, potrebbe essere parte di R2, la rete aziendale o Internet.
VIsto che solitamente R2 non è la stessa sottorete dell’indirizzo assegnato dalla VPN, il computer ha delle regole, chiamate rotte che gli dicono “se il pacchetto è della rete R2, allora usi il gateway che è assegnato all’indirizzo della VPN, se è diverso, allora usi il gateway dell’indirizzo di rete principale”
La lista delle rotte è chiamata tabella di routing, può essere più o meno complessa, a seconda di quanto è complessa la rete al di là della VPN.

Questo podcast vive perché io lo produco, lo registro e lo pubblico settimana dopo settimana o quasi. Ma continua ad andare avanti perché la soddisfazione di vedere le notifiche delle donazioni mi spinge a fare sempre nuove puntate, come ringraziamento e impegno nei vostri confronti. Se esce ogni settimana è grazie a voi.
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Oltre alla connettività per casa FTTH o FTTC, hanno le SIM, posano fibra dedicata per le aziende, fanno servizio VoIP, hanno un supporto spaziale e tutti i loro dipendenti sono assunti a tempo indeterminato.
Provateli, non tornerete più indietro.
E se avete bisogno di un servizio di Hosting, andate da ThridEye, che ospita da anni il sito del podcast, ho fatto la mia scelta e anche qui il livello è altissimo, i contatti sono sul sito.

Ormai è un dato di fatto, sono vecchio. L’ho capito quando mi sono accorto che tutte le nuove tecnologie inizio a usarle quando ormai sono già vecchie.
Io le scopro e dico “wooo” e gli altri intorno a me dicono “dai, siamo già alla versione 3, svegliati un po’!”
Con l’AI, peggio che mai. Ho scoperto che sapeva scrivermi la dimostrazione dei teoremi di matematica quando si poteva quasi usare per fare i video.
E nel mio lavoro installo, attivo e riparo macchine per il machine learning. Sì, è strano.
Oggi, per chi non lo conosce ancora, vorrei farvi provare NotebookLM, un servizio gratuito di Google che, caricati dei contenuti di qualsiasi tipo, da documenti a file audio o video, questi vengono indicizzati in un tempo ridicolmente breve e poi potete porre al sistema una o più domande e, in base a solo quei contenuti, il sistema vi risponderà di conseguenza, anche in Italiano.
Volendo vi fa anche un contenuto audio, tipo podcast a due voci.
Ho provato a caricare 50 puntate di Pillole di Bit e gli ho fatto domande del tipo “quante volte si è trattato di questo argomento?”, “in che puntata posso trovare una discussione su quell’altro?” e molte altre. Le risposte sono sempre state precise.
Peccato non poter caricare tutte le 350 puntate, così da poter chiedere informazioni su tutto quello che ho detto in questi 10 anni e non dover andare a cercarle a mano.
Provatelo, è magico, un po’ come tutto quello che è AI, ma che poi non è davvero intelligenza.

Questa puntata di Pillole di Bit è giunta al termine, vi ricordo che se ne può discutere nel gruppo telegram e che tutti i link e i riferimenti li trovate sull’app di ascolto podcast o sul sito, non serve prendere appunti.
Io sono Francesco e vi do appuntamento a lunedì prossimo per una nuova puntata del podcast che, se siete iscritti al feed o con una qualunque app di ascolto vi arriva automagicamente.
Se volete partecipare alla realizzazione della puntata speciale di Pillole di Bit Stories, andate su pilloledib.it/sostienimi e fate la vostra parte, se a fine mese il cerchio delle donazioni di riempie, realizzerò la puntata speciale.

Grazie per avermi ascoltato

Ciao!

Il sito è gentilmente hostato da ThirdEye (scrivete a domini AT thirdeye.it), un ottimo servizio che vi consiglio caldamente e il podcast è montato con gioia con PODucer, un software per Mac di Alex Raccuglia

#347 – Aaron Swartz

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#347 - Aaron Swartz
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Ogni anno l’11 Gennaio è il giorno in cui tutti dobbiamo ringraziare il gran lavoro fatto da Aaron Swartz e del quale sicuramente tutti stiamo usufruendo, anche se non lo sappiamo, anche se non lo conosciamo. È giunto il momento di conoscerlo un po’.

Per leggere lo script fai click su questo testo

Attenzione, trigger warning, in questa puntata si parla di suicidio.

Per fortuna non devo più dedicare puntate del podcast a Cecilia Sala, che è tornata a casa e spero si riprenda quanto prima. Intanto, se non lo avevate ancora fatto, iscrivetevi al suo podcast Stories, è davvero un’eccellenza nel panorama dei podcast giornalistici in Italia, non per la brutta avventura che ha passato, ma da quando lo ha iniziato, esattamente tre anni fa, il 10 gennaio 2022.
Oggi parliamo di un’altra ricorrenza e di un’altra persona.
L’11 gennaio 2013 si è tolto la vita a 27 anni Aaron Swartz, un ragazzo al quale tutti dobbiamo moltissimo, anche voi, anche se non lo conoscete.
L’11 gennaio è una di quelle date da ricordare sempre.

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Aaron nasce nel 1986 a Chicago.
Inizia a lavorare nel campo del software da giovanissimo, a 13 anni vince il premio ArsDigita con il quale vince una visita al MIT di Boston, ma non il giro che ho fatto io nel giardino, da turista, ha avuto l’occasione di incontrare persone di un certo livello e esperienza nell’ambito delle reti.
A 14 anni lavora insieme al team che sviluppa le specifiche di RSS 1.0.
Se avete scaricato la puntata di questo podcast dal feed RSS è anche merito suo.
Contribuisce nella stesura delle licenze Creative Commons.
Le licenze Creative Commons, a differenza delle licenze commerciali, che pongono un sacco di limiti a chi usa software ceduto con esse, permettono una maggiore libertà di utilizzo e diffusione, garantendo ai creatori originali dell’opera il riconoscimento della proprietà e mettendo alcuni limiti sul tipo di diffusione.
Ad oggi sono usate moltissimo e le trovate in un sacco di opere, sono identificate da una doppia c in un cerchio, con alcuni loghi che ne identificano le caratteristiche, vi lascio il link in descrizione.
Fa parte del team che sviluppa e fonda Reddit all’inizio, proprio quel Reddit che adesso conoscete tutti.
Quando Reddit viene acquisito finisce a lavorare per Wired, dal quale viene poi mandato via.
Partecipa alla creazione di Open Library, il progetto di biblioteca digitale globale che mira a contenere tutti i libri mai scritti dall’uomo del mondo, completamente online, fa parte del grande progetto Internet Archive e vi lascio nelle note il link all’about.
Questo sito è finito in un blocco sui DNS nazionali per pirateria, se non si apre, dovete cambiare DNS.
Se non avete mai visto il sito dell’Internet Archive, questo è il momento di farci un giro, è importante.
C’è stata una grande causa sempre intorno a questo sito in epoca pandemica, in quanto, quando eravamo tutti a casa, è stato rimosso il limite di un utente per volta che poteva prendere un libro in prestito, questa cosa ha scatenato le ire degli editori che hanno promesso guerra.
Nel 2012 promuove una campagna per fermare il SOPA, Stop Online Piracy Act, una proposta di legge del 2011, mai entrata in vigore, grazie ad Aaron e al movimento che si mobilitò contro, che prevedeva che i titolari del copyright avrebbero potuto agire direttamente contro siti o enti che secondo loro stavano violando il loro diritto.
–PAUSA–
Ehi, ma questa cosa l’ho già sentita e ne ho già parlato!
Non vi dice niente il Piracy Shield?
Solo che noi non abbiamo fatto niente per fermarlo.
Fa un’analisi della scrittura degli articoli della Wiki, confutando le tesi per le quali si pensava che tutti gli articoli fossero stati scritti da poche persone.
Progetta e implementa Tor2web, un proxy http per accedere ai siti all’interno della rete Tor, senza dover usare un browser Tor. Il sistema è ancora manutenuto e utilizzato.
Scrive, in Italia, il “Guerrilla Open Access Manifesto”, un documento a difesa dell’accesso libero alla conoscenza digitale, vi lascio il link al documento originale e tradotto.
A seguito di questo documento, accede al registro pubblico dei documenti della corte federale degli Stati Uniti e scarica il 20% dei documenti contenuti al suo interno, il cui accesso sarebbe dovuto essere libero per i cittadini, ma è invece a pagamento perché digitale.
Con la stessa motivazione scarica qualche milione di articoli più vecchi del 1923, per questo di dominio pubblico, ma pubblicati e resi riservati all’interno del sistema JSTOR del MIT, una biblioteca digitale ad accesso riservato.
Per questo motivo viene incriminato.
A seguito di questo download JSTOR avrebbe reso pubblici ad accesso gratuito tutti i documenti di effettivo dominio pubblico.
JSTOR ritira le accuse contro Aaron
Ma la giustizia Americana non si ferma e minaccia capi di accusa con pene fino a 35 anni di carcare.
Processo mai avvenuto, perché Arron ha deciso per un’altra strada, senza lasciare messaggi.
Se non lo conoscevate, adesso sapete a chi dire grazie per molte delle cose che usate o che avete usato.
E dobbiamo dirgli grazie per tutta l’informazione libera alla quale abbiamo accesso, che se no, in quanto digitale sarebbe stata dietro paywall, molta più di quella che c’è adesso.

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Nella nostra vita abbiamo tutti a che fare con dispositivi che funzionano a batterie, le più comuni, da anni sono le cosiddette stilo, identificate dalla sigla AA.
Il problema è che se usiamo quelle usa e getta, una volta scariche, dobbiamo gettarle via, mi raccomando sempre negli appositi contenitori e non nell’indifferenziata, che inquinano moltissimo, e sono comunque un problema per l’ambiente.
Per sopperire sono nate negli anni le pile stilo ricaricabili, adesso si trovano a cifre ragionevoli un po’ ovunque.
Persino Ikea, da qualche tempo, ha smesso di vendere le usa e getta e ha solo quelle ricaricabili, molto più ecosostenibili e sicuramente più comode.
Il problema delle batterie ricaricabili nel formato AA è che sono da 1.2V e non da 1,5V
Per molti dispositivi questo non è un problema, perché spesso hanno dei regolatori interni e tutto continua a funzionare, come ad esempio i pad delle console, quelli che vanno a batterie e non hanno l’accumulatore ricaricabile di serie, come quelli di Xbox.
Per altri invece questa differenza di tensione è un problema non da poco e impedisce di usare queste pile.
Se non lo sapete ve lo dico, esistono le pile nel formato AA, ricaricabili, da 1,5V, sono agli ioni di litio e, a differenza delle solite da 1.2V, funzionano con tutto e funzionano decisamente bene.
Vi lascio un link per provarne un modello, non sono proprio economiche, al momento.

Dai, oggi torniamo a parlare di Piracy Shield e idiozie della vita reale.
Vi ricordate senza dubbio che più di una volta sono stati bloccati degli IP di CloudFlare, una delle CDN più note e usate per veicolare servizi web.
C’è qualcuno che usa un loro IP per veicolare traffico pirata, il sistema lo blocca e con il traffico pirata blocca altri migliaia di siti legittimi che non ne possono niente.
Da questo punto di vista CloudFlare se ne è sempre lavata le mani, dicendo che non sa che dati passano sulla loro infrastruttura, non lo vuole sapere e non ci mette le mani. Lo ha anche fatto per siti molto discutibili, nei tempi passati.
La Lega li ha portati in tribunale e i giudici hanno intimato loro, da ora in poi, di fornire i dati necessari atti a identificare le persone che fanno streaming pirata attraverso la loro piattaforma, i fruitori e di interrompere il servizio, pena una multa a 4 zeri al giorno.
Questo si somma a una sentenza della Cassazione che ha stabilito che fruire del cosiddetto pezzotto è solo un illecito amministrativo punibile con una sanzione da 154€.
Riassumendo.
Per legge un provider che non sa che cosa passa dalla loro infrastruttura deve fornire i dati dei suoi clienti, e di chi si connette, ma poi, una volta identificate le persone, queste non possono essere, in gran parte, punite.
La lotta alla pirateria fatta così non va da nessuna parte.
E se CloudFlare abbandonasse il mercato Italiano, lasciandoci all’era delle carrozze e dei cavalli, ecco, li capirei.

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#346 – Backup di inizio anno

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#346 - Backup di inizio anno
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Questa puntata è dedicata a Cecilia Sala, in carcere in Iran senza accuse
Argomento principale: Tra i buoni propositi, aggiungete il mettere al sicuro i vostri dati. Almeno un volta, ma se iniziate a farlo sistematicamente è meglio.

Sezione di attualità: ho abbandonato il Value 4 Value, qualche numero e le motivazioni.

Per leggere lo script fai click su questo testo

Questa puntata è dedicata a una giornalista e podcaster che apprezzo particolarmente da molti anni, che al momento non può più fare la sua vita, perché è in galera in Iran, Cecilia Sala, so che non fa la differenza, ma nel mio piccolo spero che tutto questo possa concludersi in fretta e nel migliore dei modi.

Una intro prima dell’intro. Buon 2025, non che cambi niente, come ogni anno, ma qui nel podcast ci sono alcune piccole novità. Ve le dico all’inizio, così se avete configurato l’app di ascolto per saltare cose in automatico vi fermate un attimo e la sconfigurate.
Il 2025 è il decimo anno di vita del podcast, nato nel 2015.
Il cambio di logo l’ho già fatto.
Da oggi cambia anche la struttura delle puntate, ho cercato di farla più varia e un po’ più snella.
Cambiano anche i gadget, c’è, in serie limitata, anche il sottobicchiere con il logo del podcast, chi è nel gruppo telegram lo ha già visto, è molto bello.
Nel form da compilare ho messo le nuove fasce, come annunciato qualche tempo fa, un po’ diverse, visto l’aumento dei costi dell’ultima fornitura.
Non c’è più il Value 4 value con i Satoshi, ma ne parliamo meglio al fondo.
Mi sono dilungato già troppo, bentornati, iniziamo con la puntata vera..

Finiti i bagordi natalizi, archiviati i regali brutti, si sono sentite le virgolette? è arrivato anche quel momento dell’anno come a settembre, tutto quello che avevate posticipato con “lo faccio a gennaio” è lì che vi aspetta, pronto per essere affrontato, anche se non ne avete voglia e, soprattutto è troppo presto per calciare la lattina con un “lo faccio a settembre”.
Ma c’è una cosa che dovreste fare, se non la fate regolarmente, almeno adesso.
Poi dovreste farla sistematicamente, ma adesso è il momento di farla per forza. Serve fare un backup dei vostri dati per poi metterlo al sicuro.

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Soprattutto, il backup non si pensa di farlo, si fa.
Nel tempo che passa dal pensare di farlo a farlo, è garantito che qualcosa succede, è sistematico, succede sempre.
L’ho già detto mille volte in questo podcast e continuerò, perché ripetere che fare il backup non è mai una cosa vana, serve sempre a qualcuno e anche se un solo ascoltatore, dopo aver ascoltato questa puntata si siede alla scrivania e si organizza per fare il backup dei propri dati, allora è servita a qualcosa.
Prima di iniziare a spron battuto a copiare dati è necessario fermarsi e capire quali sono i nostri dati, dove sono e quali sono i rischi di perdita.
Se non si fa questa piccola analisi si rischia di dover comprare dischi enormi per salvare cose inutili o scordarsi qualche pezzo.
La consapevolezza è tutto.
Le possibili combinazioni di dove ognuno di noi può avere i propri dati sono infinite, a cercarle tutte potrei parlare per giorni, facciamo una cosa facile.
Avete un po’ di dati su un computer, un po’ su un telefono, un po’ su un servizio cloud.
Vi siete mai chiesti se avete copie di copie, magari sparse in giro, magari vecchie, magari ormai inutilizzabili?
È giunto il momento di farsi questa domanda, andare a cercarle e separarle dai dati veri, quelli che usate sempre, per ora non cancellatele, ma tenetele in un posto diverso. E ricordatevi che una copia dei dati fatti sullo stesso disco del PC dove lavorate non serve a niente.
Adesso si deve capire quali sono i dati che abbiamo in locale, sul computer e sul telefono e quali sono i dati che abbiamo in cloud.
La regola di base è che un dato in un posto solo non è al sicuro.
Se in locale, il PC può rompersi, può prendere un malware, ve lo possono rubare.
Se in cloud c’è sempre un minimo di rischio che i dati possano essere persi, è già successo oppure potreste salvare per errore una versione sbagliata di un file e accorgervene troppo tardi o, il caso più comune e drammatico, potreste perdere accesso al vostro account, a causa di un attacco, smarrimento credenziali o per decisione del fornitore.
A questo punto la regola di base è avere almeno una copia di tutto altrove.
Le linee guida dicono che il backup fatto bene deve avere
3 copie dei dati
su 2 tipi di supporti diversi
almeno uno di questi deve essere delocalizzato
È la regola del 3-2-1.
Ma se non avete mai fatto un backup, iniziamo per gradi.
Vi serve un disco esterno che possa contenere tutti i dati che avete, documenti, foto, video.
Prendetelo nuovo, che è meglio.
Poi lo formattate e lo codificate con una password seria. Su MacOS si può fare nativamente all’inizializzazione, su Windows vi scaricate VeraCrypt e formattate il disco con questo software, il wizard è abbastanza semplice da usare, in modo che sia codificato e si possa accedere solo con la password scelta.
Salvate la password in un posto sicuro, senza la password non avete il backup.
Poi dovete capire come si scaricano i dati dal servizio cloud che usate, per legge, tutti i servizi cloud devono averlo.
Richiedete l’estrazione.
Per esempio, io uso Google Drive, si usa Google Takeout.
Mi raccomando, si fa il takeout, non la copia dei documenti google che vedete sincronizzati sul vostro PC, soprattutto se usate i documenti google, copiare il formato proprietario Google non è una copia valida.
Il takeout lo esporta in formato microsoft Office.
A questo punto, avete tutto, potete copiarlo sul disco, in una cartella chiamata “gennaio 2025” o accordata al mese in cui state facendo il backup, non in formato compresso, se l’estrazione dal servizio cloud arriva in file compressi, decomprimeteli.
Prima di portare via il disco, ci arriviamo, riattaccatelo al PC, autenticatevi con la password scelta e cercate di leggere un po’ di documenti e foto, a caso, giusto per capire se tutto ha funzionato.
Adesso potete portarlo in un posto sicuro lontano da casa. A casa di un parente, nel cassetto in ufficio dove tenete le vostre cose, a casa di un amico che vedete spesso.
Fate la stessa cosa, cambiando la cartella del mese, ad ogni mese, per sempre, cancellando le cartelle vecchie quando il disco è pieno.
Così, per sicurezza, ogni 3 o 4 anni cambiate il disco.
Quello vecchio, prima di essere gettato via, va cancellato in modo sicuro e poi distrutto fisicamente.
Ammetto, però, che tutto questo lavoro è lungo noioso, manuale e, fatto 3 volte, non lo fate più, va automatizzato.
Ma va già bene se lo avete fatto una volta, eh!
Se volete fare meglio, ci va un piccolo investimento in più e un po’ di configurazione.
Se avete Windows installate e configurate Veeam Endpoint agent, gli fate fare il backup di tutto il sistema sul disco esterno e lo fate fare con password, vera Crypt non serve più e il disco, a occhio dovrebbe essere grande il doppio della quantità totale dei dischi di cui fate backup.
Per quel che riguarda i documenti in cloud o vi ricordate di fare l’export ogni mese oppure potete comprare il client Insync che scarica in locale la copia già convertita in formato Office, una bella comodità, fa tutto lui in automatico.
Quando attaccate il disco, Veeam fa il backup di tutto, in modo differenziale, compresa la cartella di insync.
Per testare il restore, dall’interfaccia grafica di veeam cercate di recuperare qualche file a caso scegliendo cartella e data, non si recupera con il copia-incolla.
Mi raccomando, nella procedura di installazione di Veeam vi verrà chiesto di salvare un file ISO, è indispensabile per il recupero dell’intero sistema in caso di guasto del disco di boot.
Se invece avete Mac OS il software è già nel sistema, si chiama Time Machine, si tratta solo di attivarlo e di dirgli dove salvare i dati, sempre sul disco USB da portare via e riattaccare una volta al mese.
Insync funziona anche sul Mac.
Timemachine si può fare protetto da password
Si può impostare anche su più dischi, al contrario di Veeam, così potete tenerne sempre uno collegato che fa il backup ogni ora, lo scambiate con quello offline una volta al mese.
Se siete smanettoni, potete sostituire INsync con uno script di Rclone, costa meno, ma serve lavorarci molto di più per farlo funzionare bene, con Rclone io tenevo in sincrono una cartella di Google drive con circa 400.000 file dove lavoravo prima, con questa quantità di file mandava in crash qualsiasi client. In più non serve che il PC abbia la sessione attiva, lo pianificate e lui gira sempre, anche se il PC è acceso senza nessuno che abbia fatto il logon.
Infine, se avete un NAS, di solito hanno un sistema che fa sincronia o download dei dati dai servizi cloud e fa anche la conversione nel formato di Office e vi siete tolti il problema, con uno scrit alimentate una cartella locale che finisce nel backup di Veeam o TimeMachine che portate via e siete a posto.
Ovviamente tutti questi problemi di conversione non esistono se usate i servizi cloud con documenti standard al loro interno.
Perché il disco va portato via?
Perché a casa possono succedere cose che potrebbero portarvi a perdere il computer su cui lavorare e il disco ad esso collegato, un furto, un incendio, un allagamento, un crollo. Se il backup sta da un’altra parte, questo rischio è minimizzato.
E ricordate: il backup valido è quello che si può ripristinate, se non lo si testa non è un backup.
Mi raccomando, trattate bene i vostri dati, che una volta persi non ci sono più.

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Uno dei loro servizi è la connettività, in FTTC o FTTH, a seconda della disponibilità della vostra zona, da 200Mbps fino a 10Gbps, la connettività comprende sempre un router di fascia alta compreso nell’abbonamento, si danno molto da fare per fornirvi la miglior connettività possibile per il vostro indirizzo, chiamateli anche se non siete sicuri di essere coperti, spesso riescono a fare le magie. E se non è possibile non vi fanno un contratto che sanno che non andrà bene. Vale sia per privati, che per professionisti o aziende.

Oggi vi propongo un videogioco che funziona su Windows, Mac e SteamDeck, su quest’ultima ha qualche problema con il controllo, purtroppo, lo trovate su Steam a 10€ a prezzo pieno e spesso in promozione. È un misto tra Portal e Bridge constructor. Avrete dei livelli rompicapo, con dei carrelli che devono andare da un punto A a un punto B, ma con dei portali in mezzo che li fanno sparire da una parte e riapparire dall’altra, magari cadendo in verticale o lanciato da sotto, dovete costruire dei ponti per farli arrivare al punto B.
Il gioco è divertente, la difficoltà dei livelli è stimolante e veder correre i carrelli da una parte all’altra facendo i santi più impensati è davvero rilassante.
Ve lo consiglio senza riserve.
Ah, attenzione che sta per tornare Pillole di Videogiochi, vi ho avvisati.

Questa è una sezione nuova nel formato 2025, in poche righe di script vorrei mettere un argomento di attualità che non sia sempre il Piracy Shield, ma che sia attinente alla tecnologia, non è detto che ci sia sempre, ma cercherò di essere costante. Anche qui c’è il capitolo, per chi non ha tempo da perdere. Ho anche cercato un Jingle nuovo.
Ci sarebbe da dire del Piracy Shield, ovviamente, ma oggi glisso.
Ascoltando la puntata, se state usando un’app evoluta con il Value for Value, vi sarete accorti che non ci sono transazioni, ho bloccato questo tipo di donazioni, perché dopo un po’ di esperimenti, investimenti, tempo e hardware buttato, mi sa che è tutta una enorme presa in giro.
Per ogni transazione che viene fatta, il sistema si tiene una piccola parte, l’app un’altra piccola parte.
Il wallet che prima era gratuito, Alby, adesso è diventato a pagamento, se lo tengono loro costa, ad oggi, circa 20€ al mese. Con questo tipo di sistema a me arrivano un po’ meno di 50€ all’anno.
Ma si può fare usando un wallet hostato da me.
Per avere un wallet Lightning sempre attivo non basta avere un’app sul telefono, si deve avere un piccolo server dove ci deve essere una copia della blockchain, quindi circa 1TB di spazio, qui sopra si installa il wallet Lightning, per averlo disponibile si deve aprire un canale, l’apertura mi è costata 21€
L’hardware per tenere tutto su mi è costato circa 100€, avendo anche recuperato cose che avevo a casa.
Più la corrente per tenerlo sempre acceso.
Poi arriva la sorpresa, arrivano le donazioni per gli Stream, passano da Alby e da qui vanno girate, di tanto in tanto nel mio wallet, bene, anche qui Alby si tiene una commissione di qualche punto percentuale.
Poi, di questi Satoshi devo far qualcosa, si possono convertire in buoni acquisto, ma li devo passare su un altro wallet, con un’ulteriore commissione e la conversione non è del totale della criptovaluta, ma del buono in cifra tonda, resta sempre un po’ di criptovaluta spuria di cui non sai che fare.
In sintesi, se volete contribuire, per favore, usate gli Euro.
E se usate gli Euro, andate a vedere le percentuali sulla pagina linkata sul nuovo form, diciamo che se usate bonifico o satispay è meglio, ecco. Ho cambiato tutte le fasce di donazione, perché ho fatto un po’ di conti.

Questa puntata di Pillole di Bit è giunta al termine, vi ricordo che se ne può discutere nel gruppo telegram e che tutti i link e i riferimenti li trovate sull’app di ascolto podcast o sul sito, non serve prendere appunti.
Io sono Francesco e vi do appuntamento a lunedì prossimo per una nuova puntata del podcast che, se siete iscritti al feed o con una qualunque app di ascolto vi arriva automagicamente.
Se volete partecipare alla realizzazione della puntata speciale di Pillole di Bit Stories, andate su pilloledib.it/sostienimi e fate la vostra parte, se a fine mese il cerchio delle donazioni di riempie, realizzerò la puntata speciale.

Grazie per avermi ascoltato

Ciao!

Il sito è gentilmente hostato da ThirdEye (scrivete a domini AT thirdeye.it), un ottimo servizio che vi consiglio caldamente e il podcast è montato con gioia con PODucer, un software per Mac di Alex Raccuglia