#345 – Reinventare Whatsapp

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#345 - Reinventare Whatsapp
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Sviluppare da zero un sistema di messaggistica istantanea Italiano, da dare ai nostri parlamentari è una buona idea? NO.

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Volevo mettere come titolo reinventare la ruota, ma poi, cercandolo, non sarei mai riuscito a trovare il vero contenuto di questa puntata, ho messo il nome commerciale solo per un riferimento comodo da trovare tra qualche mese.
Abbiamo un problema, qualsiasi.
Esistono al mondo sicuramente mille soluzioni già create, testate, provate, evolute e perfettamente funzionali, per quanto possa essere perfettamente funzionale un sistema complesso in questi anni.
Ma no, noi per risolvere il nostro problema partiamo da un foglio bianco e progettiamo una soluzione completamente nuova, da zero.
Ve lo assicuro, qualunque sia il problema e qualunque sia la soluzione, non è una buona idea.
Se poi viene fatta dallo Stato Italiano, ci sarà da ridere, per non piangere.
Un po’ come ITsART, per chi se la ricorda.

Prima di iniziare, due cose.
Se sentite che la mia voce è diversa dal solito, avete ragione, non è un problema di registrazione, ma non sto proprio bene bene, abbiate pazienza.
La seconda, ah, ce ne sarà una terza, mi raccomando, se donate da 5€ in su su qualsiasi piattaforma e non compilate il form, per me vuol dire che non volete i gadget, per questo motivo non li spedisco.
La terza, se volete la spilla e ne avete diritto, dovete compilare anche qui il form con i dati, se no non posso spedirla, mi raccomando. Le ho fatte fare, non fatemele tenere qui nel cassetto.
Ehi, c’è una quarta cosa sul Value for Value: il wallet che sto usando, nato specificamente per i podcast, ha deciso che da gennaio diventerà a pagamento e costa un sacco, sto cercando alternative, potrebbe succedere che per qualche tempo debba bloccare la ricezione dei satoshi, scusate.
Fine delle due cose che sono diventate quattro.

Il nostro problema è che le chat tra gli esponenti politici, pare basate su Whatsapp, al momento, escono e vengono pubblicate sui giornali. Fanno dimettere un ministro, fanno fare brutta figura alla Presidente del Consiglio e altre cose poco piacevoli.
Facciamo un passo indietro e partiamo dalle basi, che come sapete, a me piace parlare in modo che anche i non tecnici possano capire.
In un modo banale, tipo quando c’erano i primi server di chat IRC, una delle prime piattaforme per comunicare mandando messaggi, Luca voleva scrivere a Maria, si registravano sul server, ognuno di loro aveva un software, chiamato client, che si collegava al server, in modo molto semplice.
Luca scriveva qualcosa a Maria, il testo passava dal suo client al server, in chiaro dalla sua connessione al server IRC, questo lo indirizzava a Maria, sempre in chiaro che tramite la sua connessione e con un client collegato allo stesso server, lo poteva ricevere.
Molto semplice e molto vulnerabile.
Il messaggio poteva essere letto da chiunque potesse vedere il traffico Internet di Luca, di Maria e chiunque avesse la gestione del server IRC, nessun tipo di riservatezza.
Per i puristi della crittografia, semplifico molto, vi avviso.
Poi la tecnologia ha fatto passi in avanti e la comunicazione tra i client installati sui computer e il server è diventata crittografata, usando quello che tutti conoscete come https.
Senza entrare troppo nel dettaglio, il traffico che passa su Internet tra il client e il server non è più visibile a nessuno. Viene crittografato sul computer di partenza e decodificato sul server di arrivo.
Se qualcuno vuole leggere il messaggio deve avere accesso al computer di Luca, al computer di Maria o al server che accentra tutte le comunicazioni, dove passano tutti i messaggi, in chiaro.
È abbastanza semplice intuire che, se parliamo di sicurezza, il fatto che il gestore del server che accentra tutto possa avere accesso a tutti i messaggi è un problema.
Se usate Telegram, è ancora così, a meno che non usiate la chat riservata.
Facciamo ancora un passo in avanti.
Il gestore dei messaggi non solo non è interessato a vedere tutti i messaggi che passano sul server, ma non vuole proprio essere coinvolto.
A questo punto mette su un sistema a chiave pubblica e privata.
La cosa è molto complessa, ma fa i salti mortali per renderla semplice.
Quando due persone vogliono parlare, prima dei messaggi, i due client, adesso le chiamiamo app, si scambiano le chiavi di crittografia.
Ogni messaggio che Luca invierà a Maria, potrà solo essere decodificato sul telefono di Maria e ogni messaggio che Maria invierà a Luca potrà essere decodificato solo sul telefono di Luca.
Tutto il viaggio tra le due app, qualunque esso sia, in ogni parte, è codificato e nessuno lo può leggere.
Neanche il gestore del server che fornisce il servizio.
Il gestore del server ha accesso in chiaro ai metadati, chi ha scritto a chi, quando, dove si trovavano, ad esempio. Ma non ha il contenuto dei messaggi, dei vocali, apro una parentesi, maledetto chi ha inventato i messaggi vocali, chiudo la parentesi, degli allegati.
Al momento tra i sistemi di messaggistica più usati, Whatsapp funziona in questo modo, Signal pure.
Telegram, come già detto, no.
A questo punto manca un pezzo.
Dove restano visibili i messaggi, per forza di cose?
Sul telefono di chi scrive e di chi legge.
Se io tengo male il telefono, posso avere il sistema di chat più sicuro del mondo, ma una persona terza può leggere le mie chat, accedendo al mio telefono.
Per esempio, pare che le chat rubate che hanno poi portato alle dimissioni del ministro fossero state prese da una sessione di Whatsapp lasciata attiva e non custodita su un PC sbloccato.
Puoi fare l’app di messaggistica più sicura del mondo, ma poi, se la gente usa male il telefono e il PC, si invalida tutta la sicurezza.
Ma torniamo un attimo a fare l’app di messaggistica più sicura del mondo.
Parto da un esempio che possiamo usare tutti: Signal.
È un’app sicura, validata da team di esperti, sviluppata da anni e mantenuta da un team di gente di un certo livello.
Il loro scopo non è quello di farci soldi su con profilazione e pubblicità, al contrario di Meta, proprietaria di Whatsapp.
Il loro scopo è rendere la messaggistica sicura, vi lascio un link con un loro documento che spiega quanto questo possa essere costoso.
Spoiler: spendono 50 milioni all’anno.
I server di Signal non registrano niente di quello che passa.
Il loro protocollo è open source, la sicurezza viene fatta dalle chiavi crittografate.
Ci lavorano dal 2013.
Il protocollo di sicurezza è talmente valido che è usato da molti altri sistemi di messaggistica per rendere sicuri i messaggi nel trasporto tra un dispositivo e l’altro, non da Telegram.
La ruota è già stata inventata e funziona bene.
I telefoni esistono da tempo.
Possono essere gestiti da remoto da un amministratore, possono essere imposte delle policy tecniche, come la lunghezza del PIN, il blocco non più lungo di pochi minuti, si possono diminuire le app che si possono installare sul telefono stesso, si può ridurre drasticamente la possibilità di navigare su Internet e si può fare in modo che si possa accedere solo a determinati siti.
Si può anche intervenire da remoto cancellando il telefono una volta che se n’è perso il possesso, anche centralmente.
Queste tecnologie sono già tutte disponibili sul mercato, si comprano, hanno un costo, un supporto e sono largamente personalizzabili.
Poi esistono le policy scritte, quelle che l’azienda dà al dipendente e alle quali il dipendente si deve attenere, come ad esempio “il bene aziendale non deve essere ceduto a terzi” o “il PIN non va comunicato a nessuno”, insomma le regole di base per usare un dispositivo aziendale con dentro dati riservati.
Io immagino e spero che i dispositivi dati in mano a politici o dirigenti di azienda siano controllati in questo modo.
Poi penso che siamo dove siamo, loro sono quelli potenti e vogliono il telefono all’ultimo grido, vogliono installarci tutte le app che vogliono, che il PIN è scomodo e che se il figlio, l’amico, la fidanzata glielo chiedono, che problema c’è, eccolo sbloccato.
Non sto inventando, ho lavorato in molte aziende italiane, come dipendente e come consulente e sono tutte drammaticamente uguali.
Abbiamo già due ruote che funzionano molto bene.
Il sistema di messaggistica e il telefono che può essere limitato e gestito.
Piccola nota, ho parlato di Signal, ma di sistemi di messaggistica sicura e ben fatti ce ne sono decine, sia accentrati che decentrati.
Abbiamo invece le teste che non possono essere cambiate.
Reinventare un telefono credo sia impossibile, Huawei ci è riuscita, dopo il ban degli USA, ha fatto telefoni da zero e un nuovo sistema operativo in 3 anni, ma è una mega azienda cinese.
Allora hanno pensato bene di reinventare l’app per i messaggi, ne vogliono fare una sicurissima, sviluppata apposta per i politici italiani, a prova di bomba.
Ok, le app sicurissime ci sono già, come già detto, basta adottarle.
Pensate, Signal gestisce 100.000 richieste al minuto, in media, ci sono servizi italiani che vanno in crash oltre le 3000.
Sviluppare un prodotto da zero vuol dire molte cose.
Innanzitutto ci va molto tempo.
Poi ci vanno soldi, molti soldi e, da quello che si legge in giro, non è che ne abbiamo proprio tanti a disposizione tra spese correnti, spese in canili all’estero e altre baggianate.
E poi, se avete mai sviluppato qualcosa, un nuovo software si porta dietro inevitabilmente un sacco di bug, di problemi di sicurezza, di vulnerabilità, che verranno man mano scoperti, spesso al prezzo di attacchi riusciti e furti di dati. Un nuovo software lanciato così nel selvaggio mondo di Internet viene attaccato subito e cade, senza ombra di dubbio.
Poi noi siamo bravi a fare magre figure con le brutte copie di cose che sono già sul mercato da molti anni.
Resta una cosa importante.
Immaginiamo di fare il sistema di messaggistica più bello e sicuro del mondo, inattaccabile, inespugnabile, che ci invidia tutto il mondo.
Poi il ministro dà il telefono sbloccato all’amante o chi partecipa alle chat di gruppo fa screenshot e li manda ai giornali.
No, è un investimento assolutamente inutile, perché la testa della gente non la si cambia e per quella non c’è investimento, programmatore o server del cloud nazionale che tenga.

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Oggi un consiglio, vale per Ehiweb, ma vale per tutti.
Quando sul sito per la FTTC leggete una velocità teorica, questa è calcolata in base alla distanza di casa vostra dalla cabina dove arriva la fibra vera. Se la fibra non patisce la distanza, il rame sì, più ci si allontana, più la velocità cala.
Il problema del rame è anche dato da altri fattori fisici, dei quali i gestori non sanno niente, lo si scopre quando arriva il tecnico a casa e vi dice “qui andrai al massimo a 20-40-80 Mega al secondo”.
In questa occasione voi siete liberi di dire al tecnico “no, questa velocità non mi soddisfa, non attivare la linea”.
Con Ehiweb l’installazione va KO e il contratto non si attiva, con nessuna spesa dovuta da parte vostra.
Tenetelo a mente.

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Il primo maggio 1994 era una domenica, avevo 16 anni ed ero ad un’uscita con gli scout. Sono tornato la sera alla stazione di Torino Porta Nuova, sono salito in auto del babbo e gli ho chiesto: che ha fatto Senna?
All’epoca non c’erano i cellulari, niente Internet e la F1 la trasmettevano in chiaro su Rai Due.
La sua risposta è stata lapidaria “Senna è morto”.
Il giorno prima era già morto Ratzenberger.
Voi vi ricordate alla perfezione cosa stavate facendo quando sono venute giù le due torri, io come ho saputo di Senna, in quell’infausto fine settimana.
Tutto questo per dirvi che, se siete un po’ appassionati di Formula 1, dovreste vedere la mini serie Senna su Netflix, è fatta molto bene, fa rivivere la F1 di quei tempi e racconta chi era Senna, con un po’ di retroscena, non solo sportivi.
È piena di spezzoni di video dell’epoca, di personaggi che ricordiamo tutti benissimo e di un sacco di nostalgia.
Veramente consigliata.

Era molto che non si parlava dell’immane idiozia che vola sulle nostre teste come un vaso pronto a cadere e a farci male o a ammazzarci.
Chi è stato colpito a questo giro?
Il mai troppo insultato Piracy Shield il 9 dicembre sera ha bloccato l’IP di una CDN usata dal noto sito DDAY.it, che tra l’altro si spende sempre molto contro la piorateria e contro il piracy shield stesso, rendendolo parzialmente inaccessibile per circa 4 ore.
Poi, come al solito, il ticket è scomparso, l’IP è stato ripristinato, nessuno sarà responsabile e nessuno pagherà. Tipica modalità di questo sistema ignobile.
Se però io parcheggio l’auto sui binari del tram con un cartello “voi fate pirateria del calcio”, me la rimuovono, pago la multa e mi denunciano per interruzione di pubblico servizio, chiedendomi anche i danni.
Il Piracy Shield fa la stessa cosa, blocca indirizzi IP dicendo “è un pirata!” anche quando non è vero, poi lo sblocca a fronte delle rimostranze, facendo finta che non sia successo niente.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
Io sono Francesco, produttore e voce di questo podcast e vi do appuntamento a gennaio 2025, per la prossima puntata, disponibile su Feed RSS, o su tutte le piattaforme di podcast, vi registrate e la puntata vi arriva automagicamente.
Mi prendo una pausa, come ogni anno, voi festeggiate il Natale, io spengo il cervello.
Ricordatevi che se a fine mese il grafico a torta delle donazioni nella barra laterale del sito si riempie, arriva anche la puntata extra di Pillole di Bit Stories, se si riempie è grazie alle donazioni, se la puntata esce, è merito vostro!
Per cercare di raggiungere il 100% pilloledib.it/sostienimi o i pulsanti colorati nella barra laterale del sito

Grazie per avermi ascoltato!

Buone feste, divertitevi, riposatevi, cercate di stare con le persone con cui state bene e state lontani dalle persone che non vi fanno stare bene, mangiate cose buone e non fatevi prendere dall’ansia e dallo stress dei regali, per quanto possibile, io ci sono riuscito, ho detto a tutti che non voglio regali e non ne farò nessuno, non potete capire il sollievo.

Ci ascoltiamo con l’anno nuovo con alcune piccole novità.

Ciao!

Il sito è gentilmente hostato da ThirdEye (scrivete a domini AT thirdeye.it), un ottimo servizio che vi consiglio caldamente e il podcast è montato con gioia con PODucer, un software per Mac di Alex Raccuglia

#344 – Luci dimmerabili

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#344 - Luci dimmerabili
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Le luci dimmerabili sono quelle che hanno l’intensità luminosa regolabile, non sembra, ma a seconda della tecnologia con la quale sono costruite, la tecnologia per rendere la luminosità variabile cambia. E non sono tutte compatibili tra di loro

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Molte delle idee che mi vengono per la scrittura delle puntate le prendo, le rubo, mi accendono una lampadina, per rimanere a tema nella puntata di oggi, dai vari gruppi che seguo.
In uno di questi, qualche giorno fa, si è parlato di luci dimmerabili e grazie a Simone e Federico, oggi avete questa puntata su come funziona la regolazione di intensità delle lampadine, quelle a filamento e a LED

In generale, potremmo dire che le lampadine, si possono dividere in alcune categorie.
Le lampadine a filamento che funzionano in corrente alternata, come quelle che una volta avevamo in casa e ora non troviamo più e le alogene, che abbiamo, forse, ancora in qualche faretto
Le lampade a LED, ora diffusissime ovunque
Le lampade a gas, come ad esempio i neon o le prime versioni delle lampade a risparmio energetico
In alcune nicchie, ci sono ancora delle lampadine a filamento che funzionano a corrente continua.
Le lampade a gas non hanno intensità regolabile, sono accese o spente, non c’è via di mezzo, la loro tecnologia non lo permette. Prima tipologia chiusa facilmente.
La seconda, seppur una micro nicchia, ci permette di iniziare a capire un po’ cosa vuol dire avere una lampadina regolabile.
Le lampadine a filamento a tensione continua erano usate principalmente nei giocattoli.
Come funziona una lampadina a filamento?
È un bulbo di vetro, con all’interno un gas inerte, che non prende fuoco facilmente, dentro cui c’è un filo di un materiale particolare che oppone resistenza al passaggio della corrente e, quando passa corrente, diventa incandescente, questa incandescenza emette luce. Emette anche molto calore. Il gas inerte dentro il bulbo permette al filamento di non bruciare, tipo un flash monouso.
Se il filamento è una resistenza, torniamo a scomodare la legge di Ohm.
Se applico una tensione su una resistenza, ci sarà un passaggio di corrente al suo interno.
Visto che la resistenza è fissa, posso variare la tensione.
Più è alta la tensione più corrente passa.
Più corrente passa, più il filamento diventa incandescente, fa più luce e emana più calore.
Ad un certo punto, superata una certa tensione, quella nominale della lampadina, il filamento cede e la lampadina si brucia perché passa troppa corrente.
Alle lampadine a tensione continua, per avere l’effetto visivo di cambiare la luminosità, basta cambiare la tensione applicata ai loro poli, molto facile.
Esistono lampadine che a pari tensione emettono più o meno luce, dipende da come è fatto il filamento al loro interno, basta che pensiate alle automobili che hanno tutte le lampadine a 12V, le lampadine di posizione fanno molta meno luce di quelle degli stop.
Passiamo a casa, dove abbiamo la 220V in alternata.
Qui le cose cambiano e non poco.
A casa nostra la fornitura elettrica arriva con un’onda sinusoidale che passa da circa 220V a -220V 50 volte al secondo, la frequenza è 50Hz.
Noi non abbiamo mai visto le lampadine lampeggiare perché il nostro occhio ha una sorta di persistenza dell’immagine sulla retina e i movimenti troppo veloci ce li perdiamo. L’effetto di persistenza è quello che ci permette di vedere un film al cinema a 26 fotogrammi al secondo e di percepire una scena in movimento fluido e non vediamo 24 foto molto rapide una dopo l’altra.
In 1/50 di secondo la lampadina passa da spenta, alla sua luminosità massima, a spenta a di nuovo la sua luminosità massima, anche se a tensione negativa e di nuovo a spenta. Così via fino a che non la spegniamo.
Per abbassarne la luminosità non possiamo intervenire sulla tensione, riducendola, per esempio, a 110V, dovremmo andare a scaricare quei 110V rimanenti da qualche parte scaldando una resistenza, cosa molto poco pratica e un po’ pericolosa.
Immaginiamo che la luminosità massima sia generata dall’area creata dall’onda sinusoidale mentre viene disegnata, con il piano orizzontale.
Lo so che in podcast è un po’ complesso, mi spiace, cercate di immaginarvelo.
A livello matematico è l’integrale di ogni semionda, se non sapete cos’è un integrale non importa, non è un’informazione indispensabile, ma è una di quelle applicazioni pratiche della matematica che mi sono sempre piaciute.
Per diminuire la luminosità serve un sistema che prenda l’onda sinusoidale e a un certo punto, prima che questa finisca il suo ciclo normale, la porti a zero.
Immaginiamo di voler dimezzare la luminosità, ad ogni semionda, quando questa raggiunge il suo massimo, al posto di farla scendere gradatamente verso il minimo, la portiamo rapidamente a zero e lì la lasciamo fino a quando non deve iniziare la semionda successiva, anche questa, raggiunto il suo minimo, la riportiamo subito a zero e così via.
Se vogliamo meno del 50% di luminosità interrompiamo le semionde prima del loro culmine, se vogliamo più del 50% le interrompiamo oltre il loro culmine.
Tutto questo lavoro, nei dimmer che c’erano a casa un tempo, si sentiva per quella specie di ronzio che si sentiva al loro interno.
Poi abbiamo messo i LED.
Come raccontavo della lontanissima puntata 1, il LED è un diodo, si accende solo quando la tensione continua è applicata nel verso giusto ed è sopra una certa soglia, tipicamente 0,7V.
Se la applico al contrario, oltre una certa tensione, il diodo si brucia.
Non posso applicare la 220V in alternata.
Devo prima mettere un trasformatire che abbassi la tensione e poi un raddrizzatore con stabilizzatore che la passi da alternata in continua.
Un trasformatore messo dopo un dimmer per lampadine a 220V non funzionerebbe, bisogna cambiare metodo.
Come si varia la luminosità di un LED?
In un modo diverso dalle lampadine a 220V in alternata.
Ogni lampadina a LED ha una sua tensione di funzionamento ed è accesa al massimo o è spenta, non ci sono vie di mezzo.
Il LED, per sua caratteristica, si accende e si spegne molto in fretta, la curva della luminosità da spento a completamente acceso è quasi una curva verticale.
Sempre grazie alla persistenza dell’immagine sul nostro occhio, possiamo far stare acceso il LED per un tempo inferiore al 100% del tempo, ma con una frequenza molto elevata.
Il nostro occhio non si accorge che si spegne e si accende, vede solo che fa meno luce.
Se noi applichiamo un’onda quadra al LED e variamo il tempo durante il quale l’onda è a valore acceso, rispetto a quando è a valore spento, ecco che possiamo variare la luminosità.
Se è sempre nello stato acceso, avremo il 100% di luce.
Se il 50% del tempo è su acceso e il 50% del tempo su spento, vedremo il LED che emette la metà della luminosità.
Questa percentuale di quanto è ON e OFF un’onda quadra si chiama duty cycle.
Questo tipo di comando per una lampada è chiamato PWM, Pulse Width Modulation, modulazione a larghezza di impulsi.
Più la nostra onda quadra sarà in stato ON durante il suo ciclo, che è molto più veloce di quello che vede l’occhio, più vedremo luce emessa dal LED
In entrambi i casi, per le lampade a filamento e per i LED, non si tocca la tensione applicata alla lampadina, se avete fatto caso.

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Come vi dico da tempo, sono un affezionato cliente del miglior provider Internet che abbia mai provato nella mia lunga carriera tecnologica: Ehiweb. Sul sito del podcast trovate il loro logo, tramite quel link accedete al loro sito e se attivate un servizio a me viene riconosciuta una parte, un po’ come Amazon. Tutte le persone, ma davvero tutte, che si sono rivolte loro mi hanno poi scritto che sono fantastici e io non posso che confermare.
Una cosa che non vi ho mai detto e che secondo me è importante, tutti i dipendenti di Ehiweb sono assunti direttamente da loro, senza aziende terze in mezzo, niente cooperative o body rental, e sono tutti assunti a tempo indeterminato, questa cosa secondo me è importante per definire la serietà di un’azienda.

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Prima del tip, alcune informazioni di servizio.
La prima è che finalmente ho trovato i francobolli e, se stavate aspettando dei gadget per le vostre donazioni, sono riuscito a spedirle, incredibile. Scusate per il ritardo, ma pare che trovare dei francobolli sia diventata una delle 10 fatiche di Ercole ormai.
Ricordatevi, se avete fatto una donazione e volete gli adesivi, il magnate o i portachiavi, dovete compilare il form che trovate sul sito.
Ci avviciniamo alla fine dell’anno, solitamente è tempo di bilanci e con il podcast il bilancio è se vi siete meritati la spilla da sostenitore 2024 o no.
Avete ancora tempo per meritarvela, la regola, come anticipata a inizio anno e come riportata nel form di richiesta gadget è semplice.
O siete donatori abbonati di almeno 5€ al mese da gennaio o avete fatto una donazione singola o frazionata nell’anno di almeno 60€ totali.
Se siete in queste condizioni, andate a compilare il form e, verificato il tutto, provvedo a spedirvi la spilla da sostenitori a gennaio.
Se volete la spilla, siete sempre in tempo ad allinearvi.
I 60€, equivalgono, escluse le spese, in media, a circa 1€ di donazione a puntata.
Mi raccomando, niente form compilato, niente spilla.
Come sempre, grazie a tutti voi che mettete mano al portafogli, qualsiasi sia la cifra.

Il tip di oggi è un altro podcast, tranquilli, non vi infogno con ore e ore di ascolto, sono 4 puntate per una mini serie autoconclusiva.
Se siete ascoltatori di vecchia data o pazzi che avete scoperto da poco questo podcast e ve lo siete ascoltato tutto, sarete passati dalla puntata 193, dove parlo di come fare per lasciare le cose digitali in ordine per quando arriva l’unico evento certo della nostra vita: la sua fine. È una puntata del lontano luglio 2021.
Qualche settimana fa, il Post, nella sua immensa collezione di podcast, ne ha rilasciato uno, disponibile per tutti, sullo stesso argomento.
Partendo da un evento funesto, come la morte di un ragazzino, hanno analizzato il problema di recuperare i dati all’interno di un telefono del quale non si ha il PIN e il cui proprietario non è più tra noi.
Il podcast è fatto molto bene, hanno intervistato ospiti di gran livello e le informazioni che hanno fornito sono complete, precise e davvero alla portata di tutti.
Ve lo consiglio senza ombra di dubbio, si chiama Digital Requiem, vi lascio il link o lo trovate in ogni app per podcast.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
Io sono Francesco, produttore e voce di questo podcast e vi do appuntamento a lunedì prossimo, per la prossima puntata, disponibile su Feed RSS, o su tutte le piattaforme di podcast, vi registrate e la puntata vi arriva automagicamente.
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Grazie per avermi ascoltato!

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#343 – MiniUPS

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#343 - MiniUPS
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Per proteggere dal blackout dispositivi dal basso assorbimento, spesso, non è necessario comprare un UPS che pesa una decine di chili, esistono degli UPS, con batterie più leggere e con alcuni limiti in potenza, che sono molto più versatili.

Per leggere lo script fai click su questo testo

La vita civilizzata sulla terra esiste, ormai grazie all’energia elettrica.
Tutto funziona con l’energia elettrica, tutto vive grazie all’energia elettrica.
Senza energia elettrica sarebbe il caos e per questo il problema di questi ultimi anni è il costo dell’energia, l’approvvigionamento dell’energia e tutto quello che ci gira intorno.
Noi, a casa nostra possiamo fare ben poco se non cercare un operatore con prezzi decenti ed essere un po’ pronti nel caso arrivi l’odiato blackout.

Nella puntata 316 ho parlato di UPS, se non ve la ricordate, vi consiglio di andare a riascoltarvela, il tema è affine a questa puntata, anche se oggi si parla di un oggetto leggermente differente.
L’UPS, per come lo conosciamo, prende la 220V in alternata, la pulisce e la manda al dispositivo da alimentare, intanto carica e tiene carica una grande e pesante batteria al piombo.
Quando manca la corrente, un interruttore molto molto veloce, fa sì che la corrente venga prelevata dalla batteria, che è in tensione continua, venga generata un’onda pseudo sinusoidale, che poi alimenta il nostro dispositivo. Il passaggio alla batteria è talmente veloce che il dispositivo non si spegne.
Il problema dell’UPS è che pesa molto e che la conversione della tensione da 12 o 24V in continua a 220V in alternata spreca energia.
In più, spesso, i dispositivi che dobbiamo alimentare hanno un loro alimentatore che prende la 220V in alternata, la abbassa a 12V, per esempio e la raddrizza, di nuovo, dissipando altra energia.
Un altro problema è che spesso abbiamo bisogno di un UPS in posti diversi da dove abbiamo il router o il PC e non possiamo riempire casa di oggetti che pesano 20Kg e hanno delle batterie al piombo.
Esiste una soluzione a questo problema?
Certo che esiste, se no questa puntata non avrebbe il titolo che vedete sui vostri display.
Un altro accumulatore molto comune, di cui abbiamo parlato spesso, che c’è nelle nostre tasche, borse, marsupi, zainetti, è il battery pack, che serve come flebo di energia per i nostri telefoni per farli arrivare a fine giornata.
Parentesi: io baratterei molto volentieri un telefono più spesso per 2 giorni puliti di autonomia. Fine parentesi
Il battery pack lo si carica, quando serve lo si collega al dispositivo da caricare e lui trasferisce l’energia accumulata.
A differenza dall’UPS si carica già in tensione continua, alimenta qualcosa in tensione continua e non ha bisogno di interruttori strani in quanto non ha la funzionalità di emergenza, quelli moderni escono con Power Delivery, di cui abbiamo parlato nella puntata 341, deve solo regolare la tensione di uscita.
La batteria, invece di essere al piombo è agli ioni di litio, per costruzione, quindi molto più leggera a parità di capacità energetica.
Il problema dei battery pack è che sono in genere progettati per non essere usati, uso una parola scorretta, online.
O si caricano, o si usano per caricare altro.
In più, se sono power delivery hanno il fastidioso problema che quando attacco un secondo dispositivo, il primo già collegato viene spento per un secondo, tempo che l’uscita venga ricalibrata.
Insomma, se volevate usare un battery pack per alimentare un raspberry Pi al posto di metterlo dietro a un UPS che è grande 10 o 20 volte tanto, non è una buona idea.
Ma da qualche tempo ci sono dei dispositivi che sono la perfetta via di mezzo tra gli UPS e i battery pack, i mini UPS.
Li alimentate a 220V con un alimentatore esterno, sono grandi come un battery pack e hanno uscite di tipo diverso, solitamente una USB di tipo A a 5V e poi uno o due connettori di quelli tondi, con varie misure e la possibilità di impostare l’uscita solitamente tra 5 e 12V, oppure hanno alcune uscite a tensione fissa, a seconda dei modelli.
Tra l’alimentazione e l’uscita c’è una batteria agli ioni di litio come quella di un battery pack, ma potete usare questo sistema come un UPS. Lo alimentate e tramite lui alimentate il dispositivo che vi serve tenere acceso anche in caso di blackout.
Quando andrà via la corrente la batteria al litio terrà acceso il dispositivo per tutto il tempo possibile fino alla sua completa scarica.
Se la corrente torna prima della scarica totale della batteria, il dispositivo non si spegnerà e la batteria verrà caricata.
Se invece la corrente torna troppo tardi, al suo ritorno il dispositivo verrà riacceso e la batteria sarà ricaricata dallo 0%
Cosa si può alimentare con questi mini UPS?
Tutti quei dispositivi piccoli e parchi di energia che potreste avere per casa per i quali un UPS normale sarebbe eccessivo o impossibile da piazzare.
Il router della connettività, un Access point WiFi, una telecamera di videosorveglianza, un Raspberry Pi dove avete Home assistant e cose di questa portata.
Devono tutti essere dispositivi ai quali potete sostituire il loro alimentatore originale con il mini UPS.
Non potete usarlo invece per alimentare un computer, un monitor, un NAS, per questi serve un UPS di tipo tradizionale.
Ne ho preso uno per alimentare una telecamera che si sarebbe spenta in caso di blackout, perché non è sotto l’UPS che tiene il router e la WiFi, rendendo così inutile il controllo di casa, è su una mensola, pesa poco, si attiva subito e non ha bisogno di nessuna configurazione.
Come ogni cosa a batteria sempre sotto carica ha una durata limitata nel tempo, dopo qualche anno, stimo 2 o 3, andrà cambiato.
Negli UPS si cambia la batteria al piombo interna, questi piccoli si cambiano integralmente, mi raccomando portateli sempre all’ecocentro dicendo che hanno le batterie agli ioni di litio, loro sanno come riciclarli.
Nelle note vi lascio il link di quello che ho io, ma in commercio ce ne sono moltissimi.

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