#330 – IP pubblici e privati

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#330 - IP pubblici e privati
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Gli IPv4 sono divisi in classi, queste classi hanno utilizzi specifici, tra questi utilizzi, alcune classi sono per uso pubblico e altri per uso privato. È furbo usare IP pubblici nelle nostre reti private? No.

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Ultimamente mi capita spesso di porre una domanda banale a persone che mi dicono di saperne molto di reti.
Parlando di IPv4, perché ci sono gli IP pubblici e privati? A cosa servono? Cosa succede se usiamo un IP pubblico al posto di uno privato?
Le risposte sono per lo più errate.
Nella puntata di oggi avrete la risposta.

Se volete fare un ripasso approfondito del protocollo IP vi consiglio di andare a riascoltare la vecchissima puntata 36. Gli IPv4 sono sempre quelli, da molte decine di anni.
Un indirizzo IP è composto da 32 bit, per renderlo più leggibile, lo dividiamo in ottetti, gruppi di 8 bit, e lo scriviamo in una notazione decimale, ogni ottetto con un numero da 0 a 255, separato dagli altri da un punto.
Virtualmente abbiamo tutti gli IP da 0.0.0.0 a 255.255.255.255.
Perdonatemi, in questa puntata dovrò dire un po’ di numeri, che so essere di difficile gestione in una trasmissione solo audio, cercherò di renderli il più chiari possibile.
In ogni rete ogni dispositivo deve avere il suo indirizzo IP, non esiste una rete dove coesistono due dispositivi con lo stesso indirizzo.
In caso di indirizzi duplicati è impossibile sapere dove devono essere mandati i pacchetti, e entrambi i dispositivi risulteranno esclusi dalla rete.
Internet è una delle reti che si possono creare.
È una rete globale e ogni dispositivo su questa rete deve avere un suo indirizzo.
Visto che ad Internet ci accedono tutti, gli indirizzi con i quali ci si presenta su questa rete sono detti indirizzi IP pubblici.
Gli indirizzi IP pubblici non possono essere assegnati a caso, mi piace l’indirizzo 1.2.3.4 e lo assegno al mio router.
C’è un ente che ne detiene il controllo, si chiama IANA, Internet Assigned Numbers Authority, e fa parte dell’ICANN, Internet Corporation for Assigned Names and Numbers.
L’ICANN gestisce tutti i domini e gli indirizzi del mondo.
Gli indirizzi vengono venduti ai service provider o alle grandi aziende che ne fanno uso per loro stessi o rivendendoli ancora.
Se un’azienda vuole uno o più IP pubblici deve comprarli da un provider.
Quelli che assegnano al vostro router Internet sono di proprietà del vostro Internet Service Provider.
Gli IPv4, in valore assoluto, sono parecchi, anzi all’inizio, quando sono stati progettati, erano parecchi.
Un numero binario da 32bit arriva a circa 4 miliardi e 300 mila indirizzi.
Le aziende e le università che erano lì nei primi tempi li hanno comprati un po’ come se fossero patate e li usavano anche per il loro indirizzamento interno.
4 miliardi sono tanti.
Ma poi mica così tanti.
Se teniamo conto che un’intera classe l’hanno bruciata per l’indirizzo localhost delle schede di rete.
Se fate ping 127.0.0.1 vi risponde la vostra scheda di rete. Ma tutti gli IP fino a 127.255.255.255 sono bruciati.
Un’altra classe l’hanno persa per gli indirizzi auto assegnati 169.254.0.0 fino a 169.254.255.255.
Altre classi le hanno dedicate ad utilizzi particolari.
Insomma, gli IP pubblici sono pochi, alla fine, e non è pensabile dare ad ogni cliente di un servizio di connettività una serie di IP pubblici da assegnare ai propri dispositivi. E se poi lui vuole mettere più dispositivi?
Per questo ci sono le classi di indirizzi IP privati.
Sono 3 e vengono usate in base a quanti dispositivi ci dobbiamo collegare.
Ma cosa vuol dire IP privati?
Un’entità che posso essere io a casa mia, un’università o una piccola o grande azienda ha un router per la connessione ad Internet.
Il router ha 2 reti diverse.
La rete pubblica e la rete privata
Alla rete pubblica viene assegnato un IP pubblico deciso dall’ISP, Internet Service Provider.
Può essere anche più di un indirizzo, ma ora facciamo le cose facili.
Di solito per le connessioni casalinghe è un IP dinamico, per quelle professionali è statico.
Dalla parte della rete privata, chi la gestisce, può decidere di usare una delle tre classi di IP privati.
se si hanno tanti dispositivi, fino a circa 16 milioni, si usa la classe più estesa, la 10.0.0.0/8 che ha indirizzi fino a 10.255.255.255.
Se ne servono di meno si usa la 172.16.0.0/12 che arriva fino a 172.31.255.255, per un totale di circa un milione di dispositivi
Se le necessità sono minori, si usa la più ristretta, la 192.168.0.0/16, che arriva fino a 192.168.255.255, per un totale di circa 65.000 indirizzi.
Le classi hanno anche un nome.
La più grande si chiama classe A, la intermedia classe B e la più piccola classe C.
La rete è nostra e ci possiamo fare quello che vogliamo, anche sezionare le classi in sottoclassi più piccole per gestirle meglio.
Pazzo chi realizza un sistema con 16 milioni di client tutti sulla stessa rete.
Il protocollo IP funziona in questo modo.
Ogni macchina ha il suo indirizzo, univoco all’interno della sua rete, è definita la maschera di rete e il gateway.
La maschera, quel “barra” qualcosa dopo l’indirizzo, dice al computer quanto è grande la rete in bit.
Seguitemi
L’indirizzo è grande 32 bit
La maschera di rete è, nei casi più banali /24
Vuol dire che all’interno della rete i primi 24 bit saranno sempre uguali e tutti i dispositivi avranno indirizzi diversi tra loro, ma che varieranno solo oltre il 24esimo bit. 32-24 fa 8, variano solo gli ultimi 8 bit.
Nell’indirizzo IP 8 bit sono un ottetto, l’ultimo blocco di tre numeri.
Se devo mandare un pacchetto a un indirizzo che sta nella mia maschera, so che è all’interno della mia rete, glielo mando direttamente.
Se io sono 192.168.1.10 e la maschera è /24, tutti i pacchetti verso 192.168.1. qualcosa saranno all’interno della mia rete, come se restassero all’interno del mio condominio, non devono prendere il portone per uscire.
Se devo mandare un pacchetto a 192.200.10.10, è un IP diverso dalla mia rete, dovrà uscire e verrà mandato all’IP del gateway, dicendogli “da ora in poi, occupatene tu”.
Il router ruota il pacchetto sulla rete pubblica, lo manda al router dell’ISP e questo, in base a tabelle di routing molto complesse, lo farà arrivare a destinazione.
Per la destinazione, questo pacchetto non parte dal mio IP privato del mio PC, ma parte dall’IP pubblico del mio router.
Questo cambio di IP viene fatto con il protocollo di NAT Network Address Translation.
Quando tornerà il pacchetto di risposta il router saprà a quale IP privato della rete interna dovrà essere inviato.
Gli IPv4 pubblici stanno finendo, gli operatori cosa fanno?
La prima, come spiegato nella puntata 304 su IPv6, danno indirizzi IPv6, tutti pubblici e usano un IP condiviso tra moltissime loro connessioni per le necessità delle sole richieste IPv4
Oppure prendono un IPv4 e lo condividono tra 4 clienti e se si vuole fare un portforwarding non si possono usare tutte le 65 mila porte, ma solo 16000 circa.
Infine c’è il CGNAT, che sta per Carrier Grade NAT
Il vostro router sulla porta WAN ha un IP di una rete privata e non un IP pubblico.
Questa rete privata è gestita dall’ISP che fa una grande rete privata con molti clienti come voi.
Tutti questi clienti escono poi con un solo IPv4 pubblico.
Adesso veniamo al punto importante.
Ci voleva questa lunga e corposa premessa.
Perché non posso mettere a casa una classe di IP pubblici?
Abbiamo detto che per uscire dalla porta del gateway, il mio computer deve fare una richiesta a un IP diverso da quello della sua sottorete.
Se a casa usate 192.168.1.X, tutte le richieste diverse da questa sottorete andranno al gateway che le manderà su Internet.
Ma voi siete alternativi e a casa vostra volete la rete 8.8.8.X
Nessuno vi vieta di farlo, impostate l’IP del router come 8.8.8.1 e il vostro PC è 8.8.8.10
È la vostra rete privata e nessuno la vede.
Poi impostate come DNS pubblico 8.8.8.8, quello di Google
Il vostro PC legge 8.8.8.8 che rientra nella sottorete 8.8.8.X, cercherà questo indirizzo all’interno della rete di casa vostra, non lo troverà e il DNS non funzionerà mai.
È una delle regole di base del protocollo IP.
Se voi usate una classe pubblica a casa, non riuscirete mai a raggiungere servizi pubblici che hanno indirizzi della stessa classe che avete scelto per casa.
Non lo fate.
Fate i bravi e scegliete una delle tre classi e relative sottoclassi di IP privati.

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Quando si ha a che fare con le reti, una delle maggiori difficoltà è sempre quella di calcolare la subnet.
Se si parla della solita 192.168.1.0/24 con la maschera 255.255.255.0 è facile.
Ma se vi dicessi di usare una subnet 172.16.5.0/28? quanti e quali indirizzi IP ci sono all’interno e cosa dovete scrivere nel campo della maschera di rete?
Le cose si implicano e fare i conti non è propriamente banale.
Ma c’è internet e ci sono i calcolatori delle subnet, che vi aiutano a fare i conti e a sapere di preciso come si devono usare le reti, anche le più strane.
Ve ne lascio uno abbastanza completo nelle note, come sempre.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
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#329 – Sintetizzatore

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#329 - Sintetizzatore
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Gli strumenti musicali generano la musica a partire da un’oscillazione fisica, i sintetizzatori hanno un oscillatore elettronico parametrizzabile. SI parla sempre di Musica, ma il risultato è completamente diverso

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Nelle puntate passate, più di una, ho parlato di musica, sotto vari aspetti, spesso relativi alla registrazione, alla trasmissione e alla riproduzione del suono.
Non ho mai affrontato l’argomento principale della musica, senza il quale non ci sarebbe nulla da registrare, trasmettere o riprodurre. La sua generazione.
C’è molto analogico, ma vi assicuro che il digitale, anche qui, è entrato in modo prorompente.
Se ascoltate questo podcast a velocità aumentata, troverete alcuni brevi spezzoni musicali che sarebbe meglio ascoltare a 1x, per comprendere meglio il tutto.

Io sono Francesco Tucci, mi occupo di tecnologia da prima del millennium bug, dell’euro e del grande blackout del 2003, sono sopravvissuto e sono qui per raccontarvelo, in puntate brevi e facili, alla portata di tutti, con questo podcast, Pillole di bit, da novembre del 2015.

Prima dell’avvento della tecnologia c’era un solo modo per generare la musica: avere uno strumento musicale.
Per questo motivo nei secoli passati sono stati inventati molti strumenti musicali per generare suoni completamente diversi tra di loro.
Immaginate un’orchestra.
È composta da fiati, archi, percussioni e per ogni tipo, ci sono poi degli strumenti diversi tra di loro, tra i fiati ci sono gli ottoni e i legni, tra gli archi ci sono dai violini ai contrabbassi, le percussioni sono a pelle o metalliche.
Ci sono strumenti a corda pizzicati come ad esempio l’arpa e così via.
Ogni strumento genera suoni diversi con estensioni musicali diverse.
Tutti hanno in comune una sola cosa.
Tramite una vibrazione e, spesso, con una cassa di risonanza di dimensione diversa, immettono nell’aria una forma d’onda composta da un insieme di frequenze tra 0 e 25 kHz circa, quello che l’orecchio umano può sentire, e lo diffondono intorno.
L’abilità di chi costruisce lo strumento prima, di chi lo accorda, di chi lo suona, basandosi sull’abilità di chi ha scritto la musica per tutti insieme, fa sì che all’orecchio delle persone arrivi una melodia piacevole da ascoltare.

Tutto questo funziona, quasi per magia, in completa assenza di energia elettrica.
Era l’apprendista stregone, di Paud Dukas, presente in Fantasia, film di animazione della Disney del 1940
Per noi che viviamo in un mondo che funziona solo ad energia elettrica, se mettiamo un’orchestra, di giorno, in un posto con una buona acustica, la possiamo vedere e sentire senza bisogno di microfoni e impianto di amplificazione.
Basta la diffusione delle onde sonore nell’aria.
A un certo punto è arrivata l’elettricità e la disponibilità di alcuni componenti elettronici, molto di base.
Il primo di questi è stato l’oscillatore.
Se con un componente posso generare dal nulla una forma d’onda della frequenza che voglio io, per poi amplificarla e diffonderla, ecco che ho generato uno strumento elettronico che genera un suono.
Se ho una serie di oscillatori a frequenze ben definite, li abbino a dei tasti su una tastiera, del tutto simile alla tastiera di un pianoforte, quando li premo, al posto di avere un martelletto che colpisce una corda di una lunghezza predefinita che vibra ed emette un suono, avrò un’onda generata da un circuito elettronico, che emetterà un suono.
Definisco la forma dell’onda, faccio in modo che sui tasti della tastiera rispetti la distanza tra le note ed ecco il mio strumento.
Parto da una sinusoide pura e avrò un fischio alla frequenza di ogni nota.
A questo punto non ho che da divertirmi, con più o meno complessità posso andare a modificare quella forma d’onda nella sua costruzione, trasformandola in onda quadra, triangolare, aggiungo frequenze diverse, modifico l’attacco e il rilascio quando premo il tasto e altre decine e decine di parametri.
Ecco nato il sintetizzatore.
Ho una tastiera tipo il pianoforte, ma genero della musica che nessuno strumento fisico potrà mai farmi ascoltare, solo andando a regolare, nel giusto modo, decine di manopole.
L’attività non è affatto banale e i risultati possono essere sorprendenti. Vi lascio tre esempi famosi, che sicuramente riconoscerete, non par far pirateria, per per conoscenza, capito signori della SIAE?
Il primo

Era Axel F di Harold Faltemeyer, colonna Sonora di Beverly Hills Cop.

Il secondo

Erano i titoli finali di Blade Runner, scritti da Vangelis

Il terzo, forse un po’ meno conosciuto

Era Oxygene parte 4 di Jean-Michelle Jarre

Tutti questi brani sono stati fatti con dei sintetizzatori, senza altri strumenti, passatemi il termine, veri.
Vi lascio nelle note un video di un simpatico pazzo, che ne sa certamente più di me, che va in un negozio di sintetizzatori e, in accordo con il proprietario, suona AxelF su molti dispositivi diversi.
Nel tempo i sintetizzatori si sono evoluti. Da quelli con gli oscillatori e i vari componenti elettronici a bordo che intervenivano fisicamente con le manopole sull’onda generata, a quelli con generazione digitale delle onde o, ancora con la possibilità di caricare in memoria dei preset fatti da altri.
Ed ecco che arriviamo al MIDI.
Questo acronimo sta per Musical Instrument Digital Interface, in italiano interfaccia digitale per strumenti musicali.
Avete dei suoni sotto forma di file che potete caricare su degli strumenti, tipicamente delle tastiere, queste possono essere collegate ad un computer e con questo ci possono parlare, possono trasferire i suoni, possono anche essere comandate o, suonandole, può essere modificato il suono dal programma sul computer.
Il suono campionato può essere non solo un suono ottenuto con un sintonizzatore, ma anche un suono vero, registrato e campionato, da riprodurre sulla tastiera.
Immaginate di poter registrare un violino in un modo perfetto.
Lo campionate per bene per fare in modo di riprodurre tutte le note su una tastiera, magari anche rispettando la modalità di pressione del tasto.
Lo caricate all’interno del sintetizzatore, anche se ormai è uno strumento diverso, ed ecco che potete suonare un violino anche se non ce l’avete.
E soprattutto lo potete suonare a casa in cuffia, cosa che non si può fare con un violino vero.
Ovviamente non vuol dire che sapete suonare un violino, eh?
Spero che vogliate perdonarmi questo rapido excursus musicale, un settore non propriamente mio, ma ho visto un video di Pietro Morello e la cosa mi ha un po’ entusiasmato.
Se non sapete chi è, aspettate il tip

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Se non lo conoscete, dovreste andare a cercare Pietro Morello su Youtube, TIkTok e Instagram.
È un ragazzo giovane, divertente, estremamente positivo e con delle doti musicali fuori dal comune.
In tutto questo sa stare davanti alla telecamera davvero bene e, visto che tutto questo non basta, è un attivista e fa un sacco di volontariato con i bambini e in zone di guerra, è andato in Palestina non molto tempo fa.
Nel suo canale spiega la musica, gli strumenti musicali, riesce a far suonare ogni cosa e non ha peli sulla lingua nei confronti delle persone poco gradevoli.
Guardare i suoi video porta sempre sensazioni positive e belle.
Alcune settimane fa lo hanno pestato in 5 e io non mi spiego come possano 5 persone prendersela con lui, il ragazzo più buono del mondo.
La gente fa schifo, lui no.
Nelle note i link ai suoi profili, andate a darci un’occhio.
Vi lascio un anticipo con l’audio di uno short dove se la prende con quei video che sui social numerano i tasti di un pianoforte e semplificano le musiche famose

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#328 – Callcenter pirata

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#328 - Callcenter pirata
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Le chiamate di spam iniziano ad essere troppe. E sanno troppe cose di voi. Ma come se ne esce? Sicuramente non con un lavoro delle istituzioni, che hanno dimostrato di non volerlo risolvere.

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Ho comprato il mio primo telefono cellulare nel 1997, quando c’era ancora la Omnitel, quando le telefonate, in Lire costavano tantissimo al minuto e gli SMS costavano 200 lire ciascuno, il mio telefono era un Ericsson GF768 con una sola linea di 10 caratteri come display.
Da allora sono passati 27 anni, molti operatori, molte tariffe diverse e il mio numero era sopravvissuto a tutto.
Fino a quest’anno, quando, per disperazione, l’ho cambiato e l’ho fatto morire.
Tutto a causa dei call center pirata.

In Italia abbiamo molte cose che non vanno, la lista è molto lunga e per la maggior parte di queste non sarei competente, per questo motivo parlo solo di un piccolissimo sottoinsieme di cui conosco la parte tecnica.
Se non fosse così non ci troveremmo su un podcast che si chiama Pillole di Bit.
Uno di questi problemi è che è possibile attivare un contratto di quasi ogni tipo semplicemente con una chiamata telefonica outbound.
Io che vendo un servizio, ti chiamo al telefono, ti convinco, registro un tuo sì con i tuoi dati anagrafici e fiscali e il contratto è valido.
Poi, per disdirlo serve il Lasciapassare A38, ma questo è un altro discorso.
Questa possibilità, sommata alle telefonate a bassissimo costo, ha lanciato un mercato enorme di call center che cercano di venderti qualsiasi cosa chiamandoti a qualsiasi ora del giorno.
Insomma, è un problema.
Allora abbiamo iniziato tutti a mettere le spunte su NO nei moduli di ogni contratto alla voce della cessione dei nostri dati per finalità di marketing, così che il nostro numero di telefono non andasse in giro a cani e porci.
Che poi mi sono sempre chiesto a che serve dare obbligatoriamente il numero di telefono ad ogni servizio, se poi, per ogni cosa, anche importante, nessuno ti chiama MAI.
Il problema non è stato risolto, le chiamate dei call center continuavano ad aumentare e con esse il fastidio.
Pezza su pezza, abbiamo iniziato ad adattarci.
Qualche anno fa ho abbandonato la rete fissa, mi arrivavano solo telefonate di questo tipo.
le chiamate verso i cellulari costano ormai niente e ho detto ad amici e parenti che mi potevano raggiungere solo sul cellulare.
Io, a differenza di Gramellini, che vive nel passato, odio le telefonate, mandatemi un messaggio di testo, che leggo e rispondo quando posso e voglio. Se non sapete di cosa sto parlando, vi lascio il link a un suo caffè nelle note.
Sul cellulare, inoltre, grazie alle funzioni integrate del telefono e ad app terze, è possibile bloccare numeri di telefono fastidiosi.
Scacco matto call center!
Magari. Hanno iniziato a chiamare con numeri privati, creando altri problemi.
Allora un’altra pezza. Per legge i call center devono chiamare con numeri di rete fissa italiana, anche se sono all’estero.
Con la telefonia su IP questa cosa è molto semplice da realizzare.
Ma le telefonate non cessavano, anzi, i volumi erano sempre più elevati e il fastidio sempre più consistente.
E allora un’altra pezza. Il registro delle opposizioni.
In poche parole funziona così.
In qualunque modo i call center outbound siano venuto in posssesso delle liste di numeri telefonici, tra l’altro compresi di dati anagrafici e, molto spesso in modo fraudolento, prima di far partire la telefonata, devono verificare se il numero è presente nel registro delle opposizioni. Se è lì dentro, la chiamata non deve essere fatta.
La pezza pare essere definitiva.
E invece no, cribbio.
Tutti continuiamo a ricevere telefonate, tutti i giorni e in modo sempre più invasivo.
Se ne ricevono solitamente di due tipi.
Quelle con la vocina registrata che ti invitano a investire nel mercato azionario e quelle dove un operatore sa tutto di te, quasi come se avesse una telecamera a casa tua.
E arrivano tutte da numeri di cellulare.
Le prime, indicativamente, sono fatte da combinatori telefonici, che provano a chiamare fino quando non beccano la linea che squilla. A questo punto, se la persona dall’altra parte della cornetta reagisce, la chiamata viene passata a un operatore umano.
Le seconde fanno un giro diverso.
In ogni caso, arrivando da numero di cellulari, spesso, in gergo, spoofati, cioè falsificati, sono tutti call center pirata, che operano al di fuori della legge, sia per come telefonano, sia per come propongono servizi.
Se avete fatto caso, la maggior parte delle chiamate sono relative a contratti di luce e gas.
Vi chiamano per nome, sanno che operatore avete e in qualche modo cercano di dirvi che la vostra tariffa non è concorrenziale, o che il contratto è sbagliato o altre cose di questo tipo. Si presentano sempre con il nome di operatori energetici, solitamente quelli dal quale siete venuti via o quello al quale siete attualmente passati.
Non sono né uno né l’altro. Sono solo truffatori.
E chi vi sta parlando sa perfettamente che sta cercando di truffarvi.
Lo fanno anche gli operatori veri, come ha dimostrato una recente sentenza, ma la maggior parte non sono affiliati con gli operatori veri.
Cercano di appiopparvi un contratto sicuramente non conveniente perché poi loro hanno una provvigione con l’operatore vero, come se io vi dessi il mio codice amico del mio operatore del gas per ottenere uno sconto.
Fanno come quelle persone di fango che girano porta a porta e truffano la gente, ma questi lo fanno al telefono, così non rischiano neanche le botte dalle persone giuste.
Queste telefonate crescono a dismisura se passate da un operatore a un altro.
Com’è il giro dei vostri dati?
Voi fate un nuovo contratto, nei dati mettete anche il numero di telefono.
Vi hanno mai chiamato quelli della luce o del gas per darvi informazioni o comunicarvi qualcosa? a me, mai.
Questi dati passano in più mani per la gestione della pratica di migrazione.
È ormai un dato di fatto che in una di queste mani viene redatta qualche lista con nominativo, fornitore attuale, fornitore di destinazione e numero di telefono.
Questa lista viene venduta ai call center pirata che iniziano a telefonare per cercare di carpire quanti più clienti possibili con l’inganno.
Chi vi sta chiamando lo sa che sta cercando di truffarvi.
Questi call center se ne fregano del registro delle opposizioni.
Se ne fregano anche del fatto che li insultate o che chiediate loro di cancellarvi dalle liste, vi richiameranno lo stesso.
Fanno finta di essere i fornitori di energia, altro reato.
Sono di fatto dei pirati.
A livello istituzionale questa cosa è completamente ignorata.
Quando, alla fine, basterebbe rendere nulli i contratti stipulati al telefono se la telefonata non viene fatta dal cliente, per quei pochi che ancora devono fare un contratto al telefono, visto che si può fare tutto via Internet.
Eh, ma gli anziani.
Certo, per gli anziani non evolviamo, per i bambini facciamo le leggi che sono le peggio porcate nei confronti della nostra privacy.
Come se ne esce?
con un giro che è una vera rottura di scatole, ma al momento, ha passato le telefonate giornaliere, da 15-20 a zero.
Ho fatto un nuovo numero di telefono, su una esim con un operatore che ha contratti base, senza abbonamenti e traffico mensile, ad esempio CoopVoce o Very Mobile.
Questo numero ce l’ho nel telefono e lo uso solo per registrare contratti e cose del genere, lo attivo per eventuale verifica via SMS e poi lo spengo.
Ho attivato un altro nuovo numero che è diventato il mio numero principale, l’ho dato ad amici e parenti e basta, ho perso 2 giorni a migrare i sistemi di messaggistica e un po’ di applicazioni e servizi core che lo usano come contatto per l’autenticazione a 2 fattori di emergenza.
Ma visto che so che il mio vecchio numero è ancora in un sacco di altri servizi, ho passato anche questo a esim su un altro piano base senza canone, lo attivo solo quando devo verificare una accesso che non ho ancora cambiato.
Mi arriverà qualche chiamata dai combinatori automatici, ma non saranno 15-20 al giorno.
E poi so che in un tempo ragionevole, tra qualche anno, posso cambiarlo di nuovo.
Sì, la situazione fa decisamente schifo.


Pillole di Bit è un podcast gratuito da sempre e disponibile per tutti, ma realizzare un podcast ha dei costi in servizi, hardware e software.
Ma non solo, ha anche bisogno di un ritorno in soddisfazione per chi lo produce, settimana dopo settimana, da quasi 10 anni.
Per coprire costi e soddisfazione voi ascoltatori potete contribuire in modo pratico, mettendo mano al portafogli, con una donazione, che sia ogni tanto o un abbonamento mensile, dell’importo che volete, basato su quanto potete permettervi e quanto vale per voi la produzione e i contenuti delle puntate.
Ogni volta che vedo una notifica, sono contento, vuol dire che il mio lavoro ha generato un valore reale.
Potete farlo in modi diversi, tramite Satispay, Paypal o con il Value for Value, con le applicazioni che lo gestiscono, se volete più informazioni sul value 4 value potete fare riferimento alla puntata 297.

Oltre a donare direttamente, potete anche usare i link sponsorizzati, che a fronte di un vostro ordine, a me riconoscono una percentuale, come Amazon o uno dei migliori provider internet che potete trovare sul mercato: Ehiweb, per loro metto la mano sul fuoco, tutte le persone che si sono abbonate mi hanno dato feedback estremamente positivi.
E non dimenticatevi di parlar bene di Pillole di Bit a chi non lo conosce o a chi non sa dell’esistenza dei podcast.

Era tanto tempo che non vi consigliavo un podcast, essenzialmente perché ho poco tempo per provarne di nuovi e se ve consiglio uno è perché ne deve valere la pena.
Chora media ha realizzato un podcast storico, con uno storico di eccezione: il Professor Barbero.
Il format è gradevole e accessibile: 15’ a settimana e il professore risponde, in puntate monotematiche, alle domande poste dagli ascoltatori.
Divertente e mai noioso, ve lo consiglio assolutamente.
C’è anche su Youtube, ma non mi pare ci siano tutte le puntate
Se non volete recuperare tutte le puntate, una che mi ha divertito particolarmente, anche se non lo seguo, è quella sul calcio, bella davvero.
Vi lascio il link al podcast e alla puntata in questione.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
Io sono Francesco, produttore e voce di questo podcast e vi do appuntamento a lunedì prossimo, per la prossima puntata, disponibile su Feed RSS, o su tutte le piattaforme di podcast, vi registrate e la puntata vi arriva automagicamente.

Grazie per avermi ascoltato!

Ciao!

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