#343 – MiniUPS

Pillole di Bit
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#343 - MiniUPS
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Per proteggere dal blackout dispositivi dal basso assorbimento, spesso, non è necessario comprare un UPS che pesa una decine di chili, esistono degli UPS, con batterie più leggere e con alcuni limiti in potenza, che sono molto più versatili.

Per leggere lo script fai click su questo testo

La vita civilizzata sulla terra esiste, ormai grazie all’energia elettrica.
Tutto funziona con l’energia elettrica, tutto vive grazie all’energia elettrica.
Senza energia elettrica sarebbe il caos e per questo il problema di questi ultimi anni è il costo dell’energia, l’approvvigionamento dell’energia e tutto quello che ci gira intorno.
Noi, a casa nostra possiamo fare ben poco se non cercare un operatore con prezzi decenti ed essere un po’ pronti nel caso arrivi l’odiato blackout.

Nella puntata 316 ho parlato di UPS, se non ve la ricordate, vi consiglio di andare a riascoltarvela, il tema è affine a questa puntata, anche se oggi si parla di un oggetto leggermente differente.
L’UPS, per come lo conosciamo, prende la 220V in alternata, la pulisce e la manda al dispositivo da alimentare, intanto carica e tiene carica una grande e pesante batteria al piombo.
Quando manca la corrente, un interruttore molto molto veloce, fa sì che la corrente venga prelevata dalla batteria, che è in tensione continua, venga generata un’onda pseudo sinusoidale, che poi alimenta il nostro dispositivo. Il passaggio alla batteria è talmente veloce che il dispositivo non si spegne.
Il problema dell’UPS è che pesa molto e che la conversione della tensione da 12 o 24V in continua a 220V in alternata spreca energia.
In più, spesso, i dispositivi che dobbiamo alimentare hanno un loro alimentatore che prende la 220V in alternata, la abbassa a 12V, per esempio e la raddrizza, di nuovo, dissipando altra energia.
Un altro problema è che spesso abbiamo bisogno di un UPS in posti diversi da dove abbiamo il router o il PC e non possiamo riempire casa di oggetti che pesano 20Kg e hanno delle batterie al piombo.
Esiste una soluzione a questo problema?
Certo che esiste, se no questa puntata non avrebbe il titolo che vedete sui vostri display.
Un altro accumulatore molto comune, di cui abbiamo parlato spesso, che c’è nelle nostre tasche, borse, marsupi, zainetti, è il battery pack, che serve come flebo di energia per i nostri telefoni per farli arrivare a fine giornata.
Parentesi: io baratterei molto volentieri un telefono più spesso per 2 giorni puliti di autonomia. Fine parentesi
Il battery pack lo si carica, quando serve lo si collega al dispositivo da caricare e lui trasferisce l’energia accumulata.
A differenza dall’UPS si carica già in tensione continua, alimenta qualcosa in tensione continua e non ha bisogno di interruttori strani in quanto non ha la funzionalità di emergenza, quelli moderni escono con Power Delivery, di cui abbiamo parlato nella puntata 341, deve solo regolare la tensione di uscita.
La batteria, invece di essere al piombo è agli ioni di litio, per costruzione, quindi molto più leggera a parità di capacità energetica.
Il problema dei battery pack è che sono in genere progettati per non essere usati, uso una parola scorretta, online.
O si caricano, o si usano per caricare altro.
In più, se sono power delivery hanno il fastidioso problema che quando attacco un secondo dispositivo, il primo già collegato viene spento per un secondo, tempo che l’uscita venga ricalibrata.
Insomma, se volevate usare un battery pack per alimentare un raspberry Pi al posto di metterlo dietro a un UPS che è grande 10 o 20 volte tanto, non è una buona idea.
Ma da qualche tempo ci sono dei dispositivi che sono la perfetta via di mezzo tra gli UPS e i battery pack, i mini UPS.
Li alimentate a 220V con un alimentatore esterno, sono grandi come un battery pack e hanno uscite di tipo diverso, solitamente una USB di tipo A a 5V e poi uno o due connettori di quelli tondi, con varie misure e la possibilità di impostare l’uscita solitamente tra 5 e 12V, oppure hanno alcune uscite a tensione fissa, a seconda dei modelli.
Tra l’alimentazione e l’uscita c’è una batteria agli ioni di litio come quella di un battery pack, ma potete usare questo sistema come un UPS. Lo alimentate e tramite lui alimentate il dispositivo che vi serve tenere acceso anche in caso di blackout.
Quando andrà via la corrente la batteria al litio terrà acceso il dispositivo per tutto il tempo possibile fino alla sua completa scarica.
Se la corrente torna prima della scarica totale della batteria, il dispositivo non si spegnerà e la batteria verrà caricata.
Se invece la corrente torna troppo tardi, al suo ritorno il dispositivo verrà riacceso e la batteria sarà ricaricata dallo 0%
Cosa si può alimentare con questi mini UPS?
Tutti quei dispositivi piccoli e parchi di energia che potreste avere per casa per i quali un UPS normale sarebbe eccessivo o impossibile da piazzare.
Il router della connettività, un Access point WiFi, una telecamera di videosorveglianza, un Raspberry Pi dove avete Home assistant e cose di questa portata.
Devono tutti essere dispositivi ai quali potete sostituire il loro alimentatore originale con il mini UPS.
Non potete usarlo invece per alimentare un computer, un monitor, un NAS, per questi serve un UPS di tipo tradizionale.
Ne ho preso uno per alimentare una telecamera che si sarebbe spenta in caso di blackout, perché non è sotto l’UPS che tiene il router e la WiFi, rendendo così inutile il controllo di casa, è su una mensola, pesa poco, si attiva subito e non ha bisogno di nessuna configurazione.
Come ogni cosa a batteria sempre sotto carica ha una durata limitata nel tempo, dopo qualche anno, stimo 2 o 3, andrà cambiato.
Negli UPS si cambia la batteria al piombo interna, questi piccoli si cambiano integralmente, mi raccomando portateli sempre all’ecocentro dicendo che hanno le batterie agli ioni di litio, loro sanno come riciclarli.
Nelle note vi lascio il link di quello che ho io, ma in commercio ce ne sono moltissimi.

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Aggiungete ai vostri preferiti la dashboard non ufficiale dello stato di tutti i server Steam nel mondo, la aprite avete in un solo colpo d’occhio come stanno tutti i server e il loro carico.
Una dashboard davvero utile

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
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Per la puntata di Gennaio l’obiettivo non è stato raggiunto, vediamo cosa accade per il prima di febbraio.

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#342 – Controllare le valigie

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#342 - Controllare le valigie
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Ultimamente in molti aeroporti non p più necessario togliere i dispositivi elettronici grandi dal bagaglio a mano prima dei controlli di sicurezza. Questo perché sono state cambiate le macchine che fanno la scansione del bagaglio.

  • La cintura con la fibbia di plastica
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Quest’anno sono stato in vacanza negli Stati Uniti e, per la seconda volta, dopo la trasferta nei Paesi Bassi, in aeroporto non è stato necessario smontare il bagaglio a mano per il controllo di sicurezza prima di accedere all’area dei gate.
Non sono una persona che prende gli aerei così di frequente, ma sono una persona molto curiosa, mi sono chiesto cosa fosse cambiato nel controllo dei bagagli negli ultimi anni, mi sono guardato in giro, ho visto i display tutti colorati degli addetti e ho pensato fosse il caso di andare a studiare.
Quando studio qualcosa di tecnologico, ecco la puntata del podcast.

Circa da fine 2001, tutti sappiamo perché, per salire su un aereo, è necessario passare i controlli di sicurezza, in modo che si sia certi che i passeggeri non portino a bordo materiale atto a offendere o esplodere.
Quindi niente liquidi, solo boccette piccole, niente oggetti affilati o appuntiti, e, durante i controlli, tutto quello che è elettronico va rimosso dal bagaglio a mano, una vera rottura di scatole, che si somma alla coda da fare per affrontare i controlli.
La modalità vecchia consisteva in un nastro che portava il bagaglio sotto a un emettitore di raggi X che faceva, anzi che fa, in alcuni aeroporti è ancora così, la radiografia al bagaglio e, in base alla densità e alla forma del materiale che risulta dall’immagine, il tecnico della sicurezza riesce a capire cosa c’è dentro e a identificare prodotti o oggetti pericolosi.
Il PC o altre cose sono fatti rimuovere perché potrebbero coprire cose che ci sono sotto.
La radiografia funziona proprio come quella che ci fanno in ospedale quando devono scoprire se abbiamo un osso rotto, più il materiale è denso, più raggi X assorbe, meno ne arrivano sul sensore oltre l’oggetto.
La tecnologia, come in ogni settore, va avanti, evolve e, anche nel controllo bagagli hanno pensato fosse una buona idea cercare un modo per accelerare la scansione dei bagagli a mano.
Sempre nella medicina, nella diagnostica per immagini, oltre ai normali raggi X, o radiografia, esiste la TAC, acronimo che sta per Tomografia Assiale Computerizzata.
Semplificando moltissimo, sempre grazie ai raggi X, questo sistema genera delle immagini di sezioni del nostro corpo ravvicinate, come se lo si facesse a fettine, per vedere bene cosa c’è all’interno.
Lo si fa all’interno di una specie di tubo, come quello della risonanza magnetica, ma è sempre fatto con i raggi X e non con onde elettro magnetiche, che sono tutt’altra storia.
E se in aeroporto facessimo la TAC ai bagagli a mano?
Il bagaglio passa nel tunnel
in quei pochi secondi che sparisce alla nostra vista non c’è più solo un sistema che fa la foto dall’alto, ma ci sono una coppia di dispositivi che ruotano molto velocemente mentre lui passa, uno opposto all’altro.
Il primo dispositivo emette raggi X, il secondo li riceve e, a seconda di quello che trova in mezzo, nel nostro bagaglio, registra cosa c’è dentro.
Qui entra in gioco la grande capacità di calcolo che abbiamo a disposizione.
In base alle letture del sensore a raggi X che è stato messo dopo il nostro bagaglio a mano, il computer riesce a ricostruire la forma e la densità degli oggetti che ci sono al suo interno.
E lo fa in 3 dimensioni.
E poi, visto che è un computer, in base alla densità, riesce a riconoscere il tipo di materiale di cui sono fatti gli oggetti, in modo da dare subito un riferimento all’operatore che sta guardando il bagaglio.
Tutto questo arriva su uno schermo dove l’operatore vede il bagaglio a colori, con tutti gli oggetti al suo interno, e sa già se una cosa è metallica, di plastica, liquida e di che tipo di liquido, il computer segnala già in autonomia cosa potrebbe essere pericoloso e cosa no.
Il tecnico può vedere il bagaglio, allargare l’esploso del contenuto, ruotarlo, esattamente come si può fare con un progetto tridimensionale in CAD.
Per questo motivo, alla fine, togliere oggetti scuri per i raggi X è inutile, possono agevolmente vedere cosa c’è sotto.
Se il tecnico ha qualche dubbio, schiaccia un bottone e il bagaglio viene passato sul nastro dove ci sarà l’addetto che, con la persona proprietaria del bagaglio, lo aprirà, per un controllo manuale.
Questo sistema di controllo ha permesso di aumentare, in teoria, i liquidi trasportabili oltre i controlli, fino a 2l e ha aumentato la velocità dei controlli del 30%.
In un mondo dove i passeggeri dei voli aerei sono sempre di più, è un gran passo in avanti.

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Uno dei loro servizi è la fibra dedicata. Se avete un’azienda che è in un posto sfortunato e non c’è buona copertura, chiamateli, vi possono fare uno studio con offerta di costo e fattibilità in tempi relativamente rapidi per portarvi la fibra solo per voi in tagli da 2Mbps fino a 10Gbps, anche simmetrici, con o senza numeri telefonici VoIP

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Una piccola nota aggiuntiva sui contatti, ho cambiato alcune cose, ve lo dico qui prima del tip, così non ve lo perdete.
Non uso più Twitter. Non perché ha vinto quello con la cravatta rossa, amico del proprietario di Twitter che sa gestire male i soldi non suoi, ma perché l’ambiente era sempre più tossico e soprattutto i blocchi non erano più blocchi. Basta.
Mi trovate su Bluesky e su Mastodon, i contatti sono sul sito, ve li dico qui, ma non prendete appunti, soprattutto mentre guidate che se vi beccano vi tolgono subito la patente ed è pericoloso.
Su bluesky sono francesco.iltucci.com, su mastodon sono mastodon.social/@cesco_78
E non dimenticatevi, se avete donato più di 5€ compilate il form per avere i gadget, senza form non spedisco niente.
Il Tip
Rimaniamo in tema voli e controlli. Quante volte vi è capitato, se avete la cintura, di essere in difficoltà, perché la dovete togliere, poi magari i pantaloni un po’ vi cadono, poi rimetterla è lungo, mentre dovete badare ai bagagli e a tutto il resto?
Lavorando in datacenter devo fare la scansione con il metal detector tutte le volte che esco dalla sala.
Ho comprato una cintura con la fibbia di plastica che non suona.
E funziona anche in aeroporto, non la devo togliere e passo senza problemi al controllo, non sembra, ma è una gran scocciatura in meno.
E costa una fesseria.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
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Questa è l’ultima puntata del mese e manca il 25% circa, chissà se uscirà la puntata speciale a capodanno o no.

Grazie per avermi ascoltato!

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#341 – Alimentatori Power Delivery

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#341 - Alimentatori Power Delivery
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Alimentare dispositivi e caricare batterie con Power Delivery è più facile, ogni alimentatore va bene per ogni dispositivo, il connettore è lo stesso per tutti e siamo tutti felici. Forse. Ci sono dettagli importanti a quali stare attenti.

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La sigla del Power Delivery non è proprio felice per chi vive in italia, non per il noto partito, ma per la nota bestemmia, purtroppo. Portano alla nota bestemmia perché hanno un solo connettore, pare che ci si possa mettere un cavo qualunque e invece non è vero, si deve fare attenzione a cosa si compra, sia come cavi che come alimentatore, per evitare di buttare via i propri soldi, non tutti i PD sono uguali. Cercherò di rendere le cose chiare, il più possibile.

Il Power Delivery è un protocollo, direi universale, una cosa strana per il mondo tecnologico, per alimentare e ricaricare dispositivi.
In generale per alimentare un dispositivo si deve sapere che tensione serve, per evitare di romperlo, perché se si applica una tensione superiore a quella per la quale è stato progettato, si brucia, se la si applica minore, non funziona. Deve essere esattamente quella.
Power Delivery risolve questa cosa. Se alimentatore e dispositivo gestiscono questo protocollo, si collega il cavo, con connettore USB-C, si parlano, negoziano tensione e corrente ed ecco che il dispositivo viene alimentato.
Questo vuol dire che l’alimentatore ha un computer al suo interno, che parla con il dispositivo da alimentare.
Power Delivery può funzionare a diverse tensioni, a seconda della versione.
Per non fare troppa confusione, la prima versione funzionava a 5, 12 e 20 V, la seconda e la terza a 5, 9, 15, e 20 V, la versione 4 ha aggiunto 28, 36 e 48 V.
Spero non vadano oltre, perché più di 48 V diventa pericoloso e bisogna essere elettricisti per maneggiarli, come da normativa.
Visto che alimentatore e dispositivo si parlano, non c’è rischio che l’alimentatore fornisca una tensione più alta di quella che serve al dispositivo, questa è una cosa molto buona e giusta.
Perché tensioni diverse?
Qui dobbiamo chiedere aiuto alla Legge di Ohm
La potenza di ricarica si misura in Watt.
I Watt, in tensione continua, si misurano in Volt per Ampere.
Se devo caricare un dispositivo a 100W e ho solo 5V, dovrei far passare nel cavo 20A, che sono tantissimi per i nostri cavetti piccoli, scalderebbe troppo e fonderebbe.
Se invece alzo la tensione a 20V, devo solo far passare 5A, molto più gestibili.
È lo stesso motivo per il quale le linee di trasporto della tensione, come i tralicci, portano tensioni altissime e non la 220V, la corrente è molta di meno, i cavi non si surriscaldano, non c’è dispersione di energia in calore e soprattutto non fondono.
Torniamo alla nostra potenza.
Ho un dispositivo che per funzionare ha bisogno di 100W.
Devo comprare un alimentatore da almeno 100W.
Attenzione, la regola non è come quella della tensione. Se il dispositivo funziona a 12V, devo fornirgli 12V esatti, ma con PD, che si adatta, questo problema è risolto.
La potenza è una cosa diversa, ed è diverso il discorso per il funzionamento e la carica.
Parliamo di funzionamento, non di carica delle batterie.
Immaginiamo un dispositivo che per funzionare abbia bisogno di 100W, lo devo alimentare con almeno 100W, se no non funziona, non c’è abbastanza energia per un funzionamento corretto.
Se metto un alimentatore con potenza sottodimensionata, oltre ad avere problemi con il dispositivo, metterò sotto stress l’alimentatore che a un certo punto andrà in protezione e smetterà di funzionare. Se è fatto male può surriscaldare e rompersi definitivamente, o anche peggio.
Se il dispositivo chiede 100W e uso un alimentatore da 150W invece sono tutti felici, il dispositivo prende 100W e l’alimentatore lavora al 66% della sua potenza massima.
Per la carica delle batterie la cosa è leggermente diversa.
Ne abbiamo parlato nelle puntate 312 e 317, parlando di auto elettriche e ricarica.
Se la batteria si carica al massimo a 100W, le possibilità sono 3
La carico con un alimentatore da 100W, in questo caso si carica alla sua velocità massima.
La carico con un alimentatore da 200W, lei si caricherà sempre a 100W.
La carico con un alimentatore più piccolo, da 50W, in questo caso la batteria spremerà il più possibile dall’alimentatore e si caricherà a 50W, impiegandoci indicativamente il doppio del tempo.
La curva di ricarica delle batterie nel mondo reale non è lineare, ma qui va bene semplificare.
Tra l’alimentatore e il dispositivo c’è un cavo.
E i cavi non sono tutti uguali, questo è un problema perché non sono come le gomme delle auto che per legge c’è scritto che potenza massima possono reggere.
Sui cavi non c’è scritto niente, di solito.
La regola è semplice, la parte che sopporta meno energia, tra alimentatore, cavo e dispositivo finale, comanda.
Se prendete un alimentatore da 100W per un dispositivo da 100W e ci mettete in mezzo un cavo Power Delivery da 30W, che ha anche lui un micro computer all’interno e partecipa alla negoziazione, avremo 30W totali che andranno dall’alimentatore al dispositivo, creando problemi.
Al contrario, se abbiamo un alimentatore da 50W, un cavo da 100 e un cellulare da caricare che ne regge 15, passeranno solo 15W, il massimo gestibile dal telefono.
Fin qui pare tutto facile, ma le cose si complicano ancora.
Sul mercato ci sono moltissimi alimentatori Power Delivery che hanno più porte, alcune USB-A per i dispositivi vecchi, altre USB-C con Power Delivery, per i dispositivi nuovi. E magari ve li vendono per 120W.
Voi li comprate, attaccate a una porta USB-C la SteamDeck e mentre giocate la batteria invece di rimanere carica si scarica, più lentamente di quando non attaccate nulla, ma si scarica, perché succede questo?
Perché se comprate alimentatori di fascia bassa quei 120W sono divisi equamente tra le porte, ma sono divisi in modo fisso e non dinamico.
Dobbiamo partire da zero.
Esistono gli alimentatori Power Delivery a più porte buoni e quelli pessimi. Indicativamente se costano un po’ sono buoni, ma dovete andare a leggere bene le specifiche.
Visto che sul mercato ci sono decine di marche e modelli, vi faccio degli esempi generici, sta a voi andare a capire, a seconda del modello, se è buono o meno.
Per facilitarvi il lavoro, vi lascio nelle note qualche modello buono di tagli diversi.
Ogni alimentatore PD, come caratteristiche ha il numero di porte e la potenza massima erogabile. Immaginiamo un alimentatore da 100W, così facciamo i conti facili.
Questo alimentatore ha 4 porte, due USB-C e 2 USB-A, la USB-A è quella di tipo vecchio, quella con la quale caricavate il cellulare fino a qualche tempo fa.
L’alimentatore buono, in base a cosa collegate, riesce a veicolare tutta l’energia disponibile, su una sola porta o su tutte e 4.
Se collegate solo un PC portatile a una porta USB-C, tutti i 100W saranno disponibili su quella singola porta.
Nel momento in cui collegate anche un telefono alla seconda porta USB-C, il telefono dirà al caricatore “guarda, a me servono 15W”, il caricatore a questo punto cambierà la sua configurazione, fornendo 15W al telefono e 75W al PC portatile.
Durante questo cambio, per un attimo, tutte le porte smettono di erogare energia.
Per questo motivo non è saggio collegare un dispositivo che deve stare sempre acceso a un alimentatore PD, tipo un Raspberry Pi, si riavvierà tutte le volte che collegate o scollegate un dispositivo ad un’altra porta.
Ho fatto prove con 3 marche diverse e si comportano tutti così.
Se collegate un dispositivo a una vecchia porta USB-A una piccola parte di energia viene dirottata anche su questa porta, ma tenete conto che la USB-A può fornire solo 5V e massimo 15-18W, non è dinamica come la USB-C
Come si comporta invece un alimentatore PD di fascia bassa?
È sempre 100W, ma la potenza massima è divisa tra le porte in modo fisso alla costruzione, se sono sempre due USB-C e due USB-A, saranno ad esempio 5W per ogni USB-A e 40W per ogni USB-C, la somma è sempre 100W, ma se collegate solo il PC portatile a una sola porta USB-C, questo si caricherà a 40W, non di più.
Questo vuol dire che ci metterà più tempo a caricare o che, se lo state usando in modo intensivo, al posto di caricare la batteria e mantenerla carica mentre lo usate, questa si scaricherà comunque, anche se più lentamente.
Se ve lo state chiedendo, no, non si possono mettere due alimentatori o due cavi sullo stesso portatile su due porte diverse.
Se dovete comprare un carica batterie power delivery, fate attenzione a cosa comprate e soprattutto, abbinate i cavi giusti, se no, sono solo soldi gettati al vento.
Sugli alimentatori leggete sempre più spesso la sigla GaN, che vuol dire?
Ga è il simbolo chimico del Gallio
N è il simbolo chimico dell’Azoto
I transistor GaN sono prodotti con il Nitruro di Gallio e hanno delle caratteristiche termiche interessanti: scaldano molto meno a parità di potenza.
Per questo motivo trovate alimentatori da 100W grandi come alimentatori da 45W di qualche anno fa.
Scaldando meno, si possono fare molto più piccoli e compatti.

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Non forniscono solo connettività fissa, hanno anche la rete mobile, su rete Vodafone, con tre tagli di dati per il privato e tre tagli per i contratti business, tutti con minuti di traffico illimitati. In arrivo presto il 5G e le eSIM

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Sicuramente molti di voi a casa hanno un NAS e su questo NAS hanno Plex. Bene, a seconda dell’hardware presente nel NAS, CPU, memoria ed eventuali espansioni, PLEX è in grado di reggere determinate codifiche e risoluzioni video. Queste informazioni non sono sempre facili da reperire.
Ma con questo link sarà tutto più chiaro.
Vi si aprirà un foglio di calcolo della suite di Google, in sola lettura con un lungo elenco di NAS, marca e modelli con tutto quello che Plex riesce a gestire.
Se state pensando di comprare un NAS, lì sapete esattamente cosa aspettarvi in fatto di prestazioni, subito da mettere nei bookmark!

Le novità su quella schifezza del Piracy Shield tornano, un po’ come la peperonata.
E torneranno sempre, fino a quando non lo abbatteranno definitivamente.
La prima chicca, se così possiamo chiamarla, è che abbiamo scoperto quanto costa rovinare in maniera definitiva il funzionamento di Internet in Italia.
Sedetevi comodi: costa circa 2 milioni di euro ogni anno.
Alla faccia del software donato gratuitamente.
Tra personale e servizi cloud, la gestione è costosissima.
E, da quello che ne sappiamo, con risultati pressoché nulli, a fronte di problemi evidenti e fastidiosi.
Parliamo di problemi.
Abbiamo visto qualche settimana fa che, per un errore di valutazione, se lo possiamo chiamare così, è stato bloccato Google Drive, un blocco grosso, importante che, vista la scala dei danni, è stato rimosso in poco più di 8 ore.
Questa settimana si è scoperto che è stato bloccato il servizio di un’app IPTV presente su molte smart tv che ha niente a che fare con lo streaming illegale.
In questo caso tra ricorsi e discussioni, il servizio è stato ripristinato dopo un fermo di 37 giorni.
L’azienda non è grande come Google, ma ha dovuto spendere tempo ed energie nelle sedi opportune per far valere i propri diritti.
State certi che quando bloccheranno il sito della vostra piccola attività o quella del vostro amico, sempre per uno sfortunato errore, nessuno vi salverà e sarete bloccati per sempre.
Lo dico e lo ripeto, questo sistema va abbattuto, un po’ come si abbattono i ponti in guerra.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
Io sono Francesco, produttore e voce di questo podcast e vi do appuntamento a lunedì prossimo, per la prossima puntata, disponibile su Feed RSS, o su tutte le piattaforme di podcast, vi registrate e la puntata vi arriva automagicamente.
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Grazie per avermi ascoltato!

Ciao!

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